(foto di Ansa)

populismi allo specchio

Lo show dell'oasi italiana, un confronto con Parigi

Claudio Cerasa

C’è un paese che fatica a controllare gli estremismi (la Francia) e c’è un paese che l’estremismo ha imparato a governarlo (l’Italia). I traumi ci sono, ma il percorso dell’Italia suggerisce ottimismo

Il nostro David Carretta, domenica sera, commentando i risultati delle legislative in Francia, ha scritto giustamente su Twitter che la politica francese aveva appena fatto i conti con un fenomeno non molto distante da quello sperimentato in Italia il 4 marzo del 2018, quando due forze populiste, il Movimento 5 stelle e la Lega, vinsero clamorosamente le elezioni. Domenica sera, lo sapete tutti, in Francia due partiti estremisti, uno di destra e uno di sinistra, hanno raggiunto numeri da record. Jean-Luc Mélenchon ha conquistato 142 seggi (Macron appena 246, 43 in meno rispetto ai necessari per governare). Il partito di Marine Le Pen ha ottenuto 89 seggi (81 in più rispetto all’ultima tornata elettorale). E mai le forze populiste erano riuscite a conquistare un numero così alto di scranni all’interno del  Parlamento.

 

Se si osserva però il “terremoto” francese, come lo ha definito Libération, dal punto di osservazione italiano non si può non notare che rispetto alla Francia il nostro paese oggi si presenta come un’incredibile oasi di stabilità. I problemi naturalmente non mancano, ci mancherebbe, e quando il più importante partito presente nel Parlamento, il M5s, si trova a un passo da una scissione, a un passo dallo sfiduciare il proprio ministro degli Esteri, a un passo dal rimangiarsi ogni promessa sull’invio delle armi in Ucraina, non è semplice ragionare sugli scenari di stabilità. Ma la verità è che quattro anni dopo il 4 marzo del 2018 la politica italiana si presenta di fronte ai suoi elettori con un profilo diverso, caratterizzato da una quantità considerevole di anticorpi anti populisti presenti in modo  strutturale anche all’interno dei partiti populisti.

 

In Francia gli estremi crescono, si consolidano, fanno strada, seminano zizzania sull’Europa, inviano segnali di destabilizzazione sulla Nato e si presentano di fronte ai propri elettori con uno strato molto sottile di cipria moderata, utile a non nascondere troppo il proprio approccio anti sistema. In Italia, invece, gli estremi si agitano, fanno baldoria, cercano una via per risorgere, ma i tre populismi che si presentano oggi di fronte agli elettori appaiono essere infinitamente meno pericolosi rispetto a quelli osservati in paesi come la Francia. Per cominciare, i due partiti populisti che hanno governato in modo disastroso l’Italia tra il 2018 e il 2019, la Lega e il M5s, sostengono  un governo europeista ormai da un anno e mezzo ed entrambi i partiti hanno sviluppato al proprio interno alcuni anticorpi per difendersi dagli estremismi.

 

Il M5s sta per rinunciare a uno di questi anticorpi, ovvero Luigi Di Maio, ma per quanto Conte possa essere tentato di seguire la strada del melanchonismo è difficile poter considerare un ex presidente del Consiglio un populista a ventiquattro carati. Dall’altra parte, la Lega, grazie all’aiuto dei suoi governatori, ha sviluppato attorno a Salvini una sorta di cintura protettiva che non impedisce al leader leghista di comportarsi da populista ma che impedisce alla Lega di muoversi come una forza anti sistema. E se si paragona l’opposizione che si ritrova di fronte oggi Emmanuel Macron in Francia, un’opposizione poco atlantista, poco europeista, nemmeno tanto velatamente criptoputiniana, che mai invierebbe armi a sostegno della resistenza ucraina, con quella che oggi si ritrova l’Italia, dove l’opposizione guidata da Giorgia Meloni sull’atlantismo e sul sostegno all’Ucraina è persino più decisa di alcuni partiti di governo, si capirà facilmente che non c’è paragone tra avere un paese che rischia di dover concedere qualcosa a Mélenchon e Le Pen e uno che rischia di dover concedere qualcosa a Meloni, sapendo che per quanto si possa concedere qualcosa a Meloni nei prossimi anni il percorso dell’Italia, tra Pnrr, vincoli, contratti con l’Europa, patti con la Nato, presidenza mattarelliana, eredità draghiana, una destra confusa su tutto tranne che sul posizionamento nel mondo, una sinistra più desiderosa di emanciparsi dal vecchio populismo grillino è un percorso fatto più di opportunità che di ostacoli. E rispetto ai guai di fronte ai quali si trova oggi la stabilissima Francia di Macron l’Italia di oggi, al netto dei capricci in Aula, al netto delle divisioni dei grillini, al netto dei rubli anticipati a Salvini, si presenta come un’oasi di stabilità da preservare il più a lungo possibile, anche dalle infezioni di ritorno.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.