Grane stellate
Tra "sgherri " e "perpetue", ecco chi sono i pretoriani di Conte all'assalto di Di Maio
Da giorni attaccano il ministro degli Esteri. Taverna, Gubitosa, Ricciardi, Todde e Turco: i vicepresidenti del Movimento sono scesi in campo in difesa dell'ex premier. Ma la partita che si gioca sull'Ucraina e sulle armi è solo una parte. La posta in palio è più alta
Sono gli uomini, e le donne, del presidente. I Fedelissimi, o quasi. “Gli sgherri”, la “perpetua” e il “Cavallo perdente” come li chiamano sottovoce i colleghi. Sono i cinque vicepresidenti in salsa contiana: anche detti i pulcini. Arroccati attorno all'Avvocato di un popolo sempre più piccolo, mentre il Movimento si imbarca tra le pieghe, e le piaghe, della politica politicante. La stessa materia che ha annacquato il grillismo, fino ad allagarlo.
C'è da difendersi dagli attacchi di Luigi Di Maio, dicono: c'è da vincere la guerra di nervi. E poco importa in realtà come andrà a finire davvero sull'Ucraina – le armi, la Nato, l'Atlantico. Paola Taverna, Michele Gubitosa, Riccardo Ricciardi, Alessandra Todde e Mario Turco lo sanno. La questione va oltre la risoluzione parlamentare, è questione di sopravvivenza politica. Così ormai da qualche giorno affollano giornali e televisioni: dichiarano e attaccano, amplificano le parole di Giuseppe Conte, ne sono cassa di risonanza. Hanno scelto dove schierarsi. Nomi noti e meno noti, traiettorie differenti che si ritrovano.
C'è appunto Paola Taverna, “la perpetua” si diceva. Ma anche donna Paola dal Quarticciolo. Vicepresidente vicaria sull'organigramma, un gradino sopra gli altri. Dai meetup del 2005 alla doppia elezione a Palazzo Madama, 2013 e 2018, trafila piena. Il Movimento in carne ed ossa, con tutto quello che comporta. Anche passare, nel giro di qualche anno, da “io non sono politica” a “sono il vicepresidente del Senato”. Oggi, dice, “non riconosco più Di Maio, mi sembra Renzi. Un centrista qualunque”, individuando nel limite ai due mandati la vera ragione della polemica, il movente: “Le sue critiche sono iniziate subito dopo l’annuncio di Conte di voler chiedere alla nostra base il voto”.
Questione di poltrone. E di “problemi incancreniti lasciati in eredità da Di Maio stesso”, come dice Ricciardi. Oppure una “baracconata, inacettabile da un ministro”, se si preferiscono le parole di Gubitosa. La sostanza non cambia poi tanto, entrambi a quanto pare farebbero volentieri a meno della Farnesina. Sono loro due gli “sgherri” di Conte, come li chiamano dalle parti di Di Maio. Con qualche differenza, biografica e politica.
Il primo, Riccardo Ricciardi, arriva alla Camera nel 2018, eletto in Toscana: è l'espressione della sinistra del Movimento, l'uomo di Roberto Fico – l'altro campano, l'alter ego – che giusto ieri, dopo qualche giorno di silenzio tattico, si è unito al coro: “Siamo arrabbiati e delusi, Di Maio mistifica”, ha attaccato il presidente della Camera. Chissà se pure lui, insieme a Ricciardi “valuta l'espulsione”.
L'altro, Michele Gubitosa, era invece, un tempo, dimaiano di ferro. Pare infatti che a sponsorizzare la candidatura dell'imprenditore avellinese nel 2018, sia stato proprio Luigi da Pomigliano d'Arco. Un tempo, appunto. Ora si chiede (e risponde): “È così che si comporta un ministro degli Esteri preoccupato per la sicurezza nazionale? Sono parole inaccettabili e false”. Bella riconoscenza, commentano le malelingue, grilline. E aggiungono: Gubitosa dopotutto non ha il problema del doppio mandato.
E non ce l'ha nemmeno Alessandra Todde, “il Cavallo perdente”. Anche su di lei pare che Di Maio abbia puntato nel 2019 nella circoscrizione insulare per l'Europarlamento: è andata male: niente Bruxelles per l'imprenditrice sarda, che nel frattempo ha fatto strada. Prima sottosegretaria allo sviluppo economico con il governo Conte II, poi anche viceministro nell'esecutivo Draghi. E in questi giorni, un'esposizione mediatica senza precendenti: “È gravissimo”, “Non è in buona fede”, “È pretestuoso”, il riassunto del Todde pensiero sul ministro grillino.
Declinazioni e articolazioni della difesa contiana, che arrivano fino alla Puglia, al fedelissimo Mario Turco: tarantino e professore di economia aziendale, sempre in prima fila quando si tratta si fare e disfare sull'Ilva, è arrivato a Roma nel 2018 come senatore. Poi, scelto dal capo politico, è stato anche sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Un fedelissimo appunto. Lui si è spinto più in là di tutti, Di Maio nemmeno lo cita: “Senza Conte, il M5s non esiste”, ha detto pochi giorni fa, difendendo Conte dopo l'ultima debacle elettorale. Parole che non sono piaciute, per la verità, nemmeno a tanti grillini che oggi chiedono la resa dei conti, e la testa del responsabile delle Farnesina. Ma tant'è.
Oggi al Senato potrebbe esserci il primo atto, ma la realtà è più intricata e va oltre le armi e l'Ucraina. La posta in palio per i grillini è ampia, può essere decisiva, tra mandati che si esauriscono e consensi che calano, e quella riforma istituzionale che torna indietro come un boomerang. Ognuno si conta, ognuno si pesa. E gioca la sua partita.