La solita farsa
“Cade il governo! Anzi no”. Ascelle pezzate, marachelle di Giggino e disperazione a 5 stelle
Nessuna uscita dalla maggioranza. Nessuna figura di tolla dell’Italia alla vigilia del Consiglio europeo. “Dopo quattro anni si conclude così la breve parabola del vaffa in Parlamento”. Un epitaffio. Chissà. Vedremo. Resta la scissione di Di Maio
A un certo punto nel salone dove si chiacchiera e si bivacca, in Senato, arriva anche Marco Rizzo. E’ il segretario del partito comunista. “Ne ho viste tante di scissioni”, dice. “Ma di così cretine mai”, aggiunge. E lui di queste cose ha una certa esperienza. Non per niente è di sinistra. Il fatto è che Luigi Di Maio lascia il Movimento cinque stelle perché Giuseppe Conte minaccia di non votare una risoluzione sull’invio delle armi in Ucraina, ma alla fine l’ex avvocato del popolo, dopo strepiti, dichiarazioni, insulti, botti, petardi e montagne russe, quella risoluzione la vota. “E allora esattamente perché si separano?”. Boh. “L’Ucraina qui c’entra poco”, dice Pier Ferdinando Casini. “Il problema è il futuro di Luigi”, precisa Paola Taverna (che ha un piede rotto e le stampelle: è stato Giggino? “No, so stati i scii”). Ma resta il fatto: causa e conseguenza, nel mondo a cinque stelle, non sono quasi mai in limpido rapporto tra loro. Il che non è precisamente né una novità né una notizia. Ma tant’è. In sostanza, al termine di una giornata tanto calda quanto inutile in Senato, tra ascelle pezzate e gravatte troppo strette, si è avuta anche la prova definitiva della veridicità di quell’antico e famoso detto che recita così: gli atti non avvenuti provocano una catastrofica mancanza di conseguenze. E dire che in mattinata il ministro Stefano Patuanelli, ormai amicissimo di Conte, faceva discorsi drammatici e vagabondi: “Chissà se sarò ancora ministro stasera”.
Cadrà il governo? Figurarsi. Mentre nell’Aula del Senato i grillini intervenivano uno dopo l’altro a serpentina, a rosa dei venti o a vortice ritmico, non di rado in crescendo, e comunque sempre attraverso un trascorrere di vertigini (tipo la senatrice che intima a Mario Draghi: “Lei ‘vadi’ in Europa” o il mitologico senatore Airola che collega l’Ucraina e il superbonus edilizio), insomma mentre quelli si facevano esplodere in Aula con metodi tra i più fantasiosi mai visti nella storia della Repubblica, ecco invece che da un’altra parte di Roma c’era il loro capo, Giuseppe Conte, che trattava. Ma su cosa? Il punto qual è? Qual è il “nodo” della questione? “Il nodo è sabaudo”, spiegava non senza ironia Alessandro Alfieri, mediatore del Pd. Insomma, allegro vagabondo, eroe imperituro le cui imprese non hanno purtroppo mai un termine di realizzazione, Conte stava approvando riga per riga la risoluzione sulle armi per come gliela dettava Palazzo Chigi. Niente crisi di governo. Nessuna uscita dalla maggioranza. Nessuna figura di tolla dell’Italia alla vigilia del Consiglio europeo. “Non è successo niente”, sintetizza Giorgio Mulè, sottosegretario di Forza Italia. “Dopo quattro anni si conclude così la breve parabola del vaffa in Parlamento”. Un epitaffio. Chissà. Vedremo. Resta la scissione di Giggino detto ’a marachella. E restano gli sguardi remoti, per non dire cosmici, dei senatori e dei deputati grillini che si chiedono: E ora? Con chi mi conviene stare? Luigi o Giuseppe? Chi mi garantisce un reddito di cittadinanza? “Tu che faresti?”, domandava ieri Fabiana Dadone, che per adesso fa il ministro e logicamente non vuole tornare a fare le fotocopie nello studio legale di Cuneo da cui proviene. E lei per lo meno un lavoro ce l’ha. Pensate gli altri come stanno messi.