I cocci di Draghi
La Lega di governo è pronta a tutto per difendere Mario Draghi. Le spine di Letta
Il terremoto provocato da Di Maio ha conseguenze anche sulla Lega. Fedriga-Zaia-Giorgetti escludono l'uscita dal governo. Il segretario del Pd deve compiere un "esorcismo": tenere Conte-Di Maio-Calenda-Renzi
Pensa di essere tornato centrale, nuovamente “capitan Salvini”, ma sta messo peggio del suo compare, Giuseppe Conte, il leader del Movimento due stelle e mezzo. Al governo si mette in conto la possibilità (inverosimile) che l’ex premier possa uscire dall’esecutivo, mentre si esclude che a farlo sia Matteo Salvini. L’atto di forza di Luigi Di Maio ha imbrigliato la Lega. La scissione ha infatti coperto “l’auto commissariamento di velluto”. Questo è quello che dice la base della Lega: “Salvini è stato legato alla sedia. Salvini stesso si sta moderando consapevole del grado di insofferenza nel partito”. Massimiliano Fedriga, Luca Zaia, Giancarlo Giorgetti, nel caso in cui la situazione dovesse precipitare, chiederanno l’immediato “ripristino della democrazia interna” che in questi anni di sbornia è stata congelata. Se non dovesse essere sufficiente si muoveranno in altro modo. Non viene preparato nulla ma non è escluso nulla.
In queste ore, i “triumviri” della Lega rispondono alle chiamate degli imprenditori e li rassicurano con due “no, no”. Il primo “no, no” è la replica a chi gli chiede “uscite pure voi dal governo?”. Il secondo “no, no” è la risposta all’ipotesi di uscita dal partito. Giorgetti intervenendo all’Assemblea annuale dei Soci AmCham Italy (la Camera di Commercio americana in Italia) ha ribadito che il posizionamento all’interno dell’alleanza atlantica non verrà messo in discussione neppure nei prossimi mesi.
Draghi ha sempre dichiarato che “non si sarebbe candidato in politica” ma ministri, alti funzionari, riflettono e ripetono che “l’esperienza Draghi non può essere dispersa e non lo sarà”. La frase ricorrente era, ed è, “in nome di Draghi si possono creare partiti, gruppi”. Di Maio, ad esempio, “in nome di Draghi” è riuscito a compiere un’impresa che ha stupito i parlamentari del Pd e della Lega.
Il numero crescente di parlamentari che hanno aderito ha sbalordito anche chi abita a Palazzo Chigi. Draghi, che non vuole entrare in questa disputa, tanto da precisare, anche alle persone più vicine, di essere stato informato da Di Maio solo il 21 giugno mattina, e ripete, solo il 21 mattina, in un discorso cinico, che viene fatto alla Camera e al Senato, “è una figura indispensabile e serve per arrivare preparati al sisma”.
Per sisma si intendono le elezioni, le prime con il numero ridotto di seggi. Gli hanno in pratica lasciato i cocci. L’unico che è rimasto a fare il suo mestiere, campagna elettorale per i ballottaggi, è Enrico Letta che tuttavia ha bisogno di almeno un anno per realizzare un “esorcismo”. Lavorerà su un concetto a lui caro “la serietà”, il Pd come il partito antisbraco. Dovrebbe riuscire a tenere insieme Conte che non accetta Di Maio così come Calenda, che non vuole Conte e Di Maio, ma neppure Renzi che da par suo, non vuole né Calenda, né Di Maio né Conte. Sarà difficilissimo.
I tre ministri Franceschini-Orlando-Guerini hanno lavorato insieme a Letta per giungere all’accordo sulla famigerata risoluzione sull’Ucraina ma l’anima socialista del partito (Orlando e Provenzano) chiederà al segretario, come è nelle cose, un posizionamento politico e un sistema di alleanze che deve essere chiaro e percepibile.
L’autunno sarà dunque dominato dal tema salari e Letta non dovrà più occuparsi del “campo largo” ma sminarlo e nello stesso tempo aggredire questi temi che sono l’identità per una forza progressista. Il Pd dovrà capire chi sono i suoi compagni di strada. Al Nazareno, Conte viene infatti definito “imponderabile” e per quanto riguarda Di Maio è presto per comprendere la collocazione del suo gruppo; collocazione che non è scontata. Ieri, il ministro degli Esteri è partito per la Serbia e non ha partecipato al primo Cdm da fuoriuscito, quello in cui sono stati prorogati gli sconti contro il caro energia volti a coprire il terzo trimestre.
Escluso il “rimpasto” nessuno si sente di escludere la variabile “incoscienza”. C’è voluto del tempo ma Salvini e Conte, che sono più simili di quanto si creda, sono oggi i “fratelli Battisti”. Per Battisti si fa riferimento alla strofa del cantautore Lucio, “guidare a fari spenti nella notte…”. Nella Lega si attendono i ballottaggi dove si prevede che Salvini possa uscire ancora più malconcio. Sarà chiamato a scegliere tra il velluto e le saggine delle scope, che nel suo partito, dai tempi di Maroni, sono più efficaci del pugnale.
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