Il bunker M5s
La solitudine di Conte e le telefonate ai big: “Te ne vai anche tu?”
Grillo sapeva della scissione da una telefonata con Di Maio e non è più venuto a Roma. E Casaleggio se la ride
Sembra uscito da Atlantide. Non dalla sede elegantissima, ma sempre più vuota del M5s. A Giuseppe Conte mentre parla gli si forma una ruga sulla guancia sinistra. E’ provato. E’ uscito dal bunker. Un passo dietro di lui c’è Roberto Fico. Il capo del M5s parla alle telecamere. In serata farà la doppietta Rete4-La7. Deve uscire dall’angolo. Ed è solo. Nonostante la scenografia che gli costruiscono alle spalle: il presidente della Camera, i vicepresidenti, qualche parlamentare che magari fra una settimana lo saluterà per provare a spassarsela con Luigi Di Maio. Beppe Grillo, che ha un noto fiuto animalesco, non verrà a Roma. Il garante lunedì ha chiamato il ministro degli Esteri. Che all’inizio non gli ha risposto al telefono. Poi c’è stato il colloquio. Sintesi brutale: “Beppe, non posso più rimanere”. “Allora auguri, Luigi”. Sicché Grillo ha pensato bene di starsene a Bibbona. Ma su una cosa sta insistendo: il secondo mandato non si tocca. Ci mancava pure questa. La votazione è congelata, infatti.
Ma questi sono problemi secondari. La sede del M5s è il luogo dove si elabora il lutto, anche se fanno tutti gli spavaldi. Riccardo Ricciardi, vicepresidente: “Ora voliamo alto”. Mario Turco, il Beria di Conte: “Ora siamo più snelli, ora che conosciamo i nomi e i cognomi”. Quelli di “Insieme per il futuro” se la prendono: “Siamo alle liste di proscrizione”. Ma ci sta. Attenzione: esce dalla sede un dirigente col passo svelto. E’ Claudio Cominardi, personaggio centrale. E’ il tesoriere del partito. Ha un sacco di grane. La scissione ha svuotato i fondi parlamentari a disposizione del gruppo M5s (oltre 2,5 milioni di euro) verso Di Maio. Adesso ci sono impiegati negli uffici che rischiano di essere licenziati. Panico fra i portaborse. Non solo: c’è molto fermento anche all’ufficio legislativo dei grillini. E’ il motore degli atti parlamentari. C’è gente pronta a traslocare. Ecco perché Cominardi ha il piè veloce. Ha problemi da risolvere. Per non parlare insomma del contratto di Beppe Grillo (300mila euro). Fabiana Dadone, ministro delle Politiche giovanili, esce dalla sede e fa finta di stare al telefono. Ma nessuno la riconosce lo stesso. Paola Taverna, claudicante per via di una brutta caduta rimediata sugli sci, varca comunque il portone con passo marziale. La fermano. Si fa desiderare. “Ahò, non parlo”. L’altra sera stappava il prosecco. Davide Casaleggio, dalla sua casa di Ivrea, intanto sta mandando agli amici emoticon pieni di faccine che ridono. E’ contento che sia finita così, e spera che Conte molli anche il simbolo, prima o poi. Tic toc, l’elenco dei futuri scissionisti cresce: Azzolina, Bonafede, Fraccaro. Conte, famoso per non rispondere mai al cellulare, li cerca: “Te ne vai anche tu?”. Il telefono lo usa anche per parlare con Enrico Letta, ma soprattutto con Massimo D’Alema e Goffredo Bettini. Sembra di sentirli: “Giuseppe, diventa il nostro Mélanchon”. Ma Conte è preoccupato. Un cronista gli chiede – a freddo – se lascerà la guida del M5s. Lui strabuzza gli occhi: “E perché?”. I problemi economici e di gestione del partito, la votazione sul terzo mandato congelata, Grillo scomparso. E poi l’obbligo di dire: rimarremo nel governo Draghi. Ecco, adesso la ruga sulla guancia sinistra dell’ex premier si riempie di argomenti. “Ma io sto con lui, anche se la mia futura moglie è passata con Luigi”, dice Giovanni Currò, deputato comasco corrente borbottona di Buffagni, che sabato dirà sì a Maria Pallini ad Avellino. In chiesa ci sarà Di Maio, Conte ha declinato l’invito. Currò ride: “Mi ha detto che doveva seguire i ballottaggi, ma noi non siamo arrivati ad alcun ballottaggio”.