Spunti
Perché le divisioni del centro regaleranno il terzo polo a Meloni
Da Calenda a Renzi. Da Di Maio a Sala. Che spazio c’è per un fantomatico polo centrista? Chi dovrebbe guidarlo? E quanto peserebbe l'area Draghi? Due chiacchiere con i sondaggisti
“Troppi polli non fanno un polo”, dice al Foglio il professore Roberto D’Alimonte, all’indomani della scissione di Luigi Di Maio e della nascita del suo nuovo progetto politico, “Insieme verso il futuro”. Le suggestioni sul centro che verrà, grande o piccolo che sia, con Di Maio o senza Di Maio, suscitano riflessioni, sondaggi, proiezioni variegate nella galassia dei cosiddetti “esperti”. “In Italia esiste una domanda di centro, manca l’offerta”, prosegue D’Alimonte, che insegna Sistema politico italiano alla Luiss G. Carli – Il centro è troppo frammentato, sono troppi i leader che aspirano a diventare gli aggregatori. Sul piano tecnico, poi, posto che difficilmente la legge elettorale verrà cambiata, l’attuale sistema non favorisce l’emersione di un polo di centro, anzi penalizza i tentativi di aggregazione. Se in una coalizione che raggiunge la soglia del dieci per cento una singola lista guadagna una percentuale di voti tra l’uno e il tre per cento, non ottiene seggi ma porta acqua alla lista più votata che, allo stato delle cose, sarebbe probabilmente quella guidata da Carlo Calenda”. In pratica? “Renzi e Toti non avrebbero seggi per sé ma con il due per cento a testa potrebbero aiutare Calenda ad avere più eletti in Parlamento”. Alternative? “I piccoli centri potrebbero optare per una lista unitaria ma così facendo perderebbero distintività e dovrebbero costruire un soggetto del tutto nuovo. Né Renzi né Calenda né Toti sanno di nuovo”.
Siamo alle solite: l’ansia del nuovismo? “Gli elettori non sono così stupidi. Questa gente è politicamente vecchia. Ha visto a Verona l’exploit di Damiano Tommasi? Ecco, lui potrebbe essere il frontman di un nuovo centro. Tommasi sarebbe percepito come nuovo dagli elettori”. In molti guardano anche al sindaco di Milano Beppe Sala come possibile aggregatore di un polo liberaldemocratico e ambientalista. “Una tale operazione rischia di avere la stessa sorte di quella realizzata da Mario Monti che voleva essere nuovo appaiandosi a Fini e Casini”. Il futuro del ministro Luigi Di Maio può giocarsi al centro? “Il m5S è politicamente finito, Di Maio potrebbe fondare un suo movimento ma dubito che andrebbe sopra il due per cento”. Dalla sua analisi il centro appare sovradimensionato. “Esiste una domanda, manca l'offerta. Lei pensi a ciò che è accaduto in Francia: al di là del successo dei partiti di sinistra e destra, il presidente Macron governa al centro con il partito di maggioranza relativa. La legge elettorale incide, certo, ma poi c'è la politica e la capacità di formulare una proposta convincente”.
Passando ai numeri, è interessante l'analisi di Swg, istituto di sondaggi. All'Head of Research Rado Fonda chiediamo se il successo dei candidati sostenuti da Azione alle ultime amministrative (a Parma, Palermo, L’Aquila, non eletti ma con risultati a doppia cifra) possa proiettarsi a livello nazionale. “E’ difficile trasferire il risultato di elezioni amministrative alle politiche, i comportamenti elettorali differiscono, come pure l’offerta politica. Sicuramente esiste un centro dove oggi Calenda risulta essere il leader più apprezzato. Nelle nostre rilevazioni è stabilmente al cinque per cento. Deve essere chiaro però che non esiste una ideologia centrista, non ci sono più gli elettori di fede democristiana come un tempo, e i moderati sono spalmati tra i partiti già esistenti. Il centro è essenzialmente il polo del pragmatismo, presidiato da elettori non fidelizzati che votano di volta in volta in base alle proposte e ai leader che riscuotono il loro gradimento”.
Calenda sarebbe il più apprezzato? “Al momento è quello che appare più affidabile e convincente, è in grado di trascinare un consenso maggiore rispetto a Renzi. Il leader di Iv oggi non è popolare e anche un'alleanza con Iv sarebbe rischiosa per Azione”. In che senso? “I voti tra formazioni diverse non si sommano. Non è affatto detto che il consenso per Azione crescerebbe, al contrario la vicinanza tra i due potrebbe sottrarre consenso”. Al centro guarda anche il ministro Mara Carfagna e un pezzo di Forza Italia a disagio con Salvini e Meloni. “Per loro è più difficile proporsi come centristi perché hanno una lunga storia politica di centrodestra. Calenda appare più equidistante. Lo stesso discorso vale per Beppe Sala che è diventato sindaco di Milano a capo di una coalizione di centrosinistra, perciò più che al centro Sala è percepito come il potenziale leader di uno schieramento ambientalista e liberaldemocratico che guarda a sinistra”. E in un’eventuale sinergia con Di Maio? “Mi sembra improbabile perché il ministro degli Esteri viene dal M5S, ha una storia politica definita e un seguito diverso da quello di Sala. Di Maio, in ogni caso, non ha una base elettorale forte, nel governo è stato nominato e ha già rivestito il ruolo di capo politico grillino”. A proposito del centro, Renzi ha parlato anche di “area Draghi”. Quanto inciderebbe la figura del premier? “Relativamente. Abbiamo appena concluso un sondaggio da cui si evince che l’elettorato più vicino a Draghi è quello del Pd. Nell'area del centrosinistra si registra l’apprezzamento maggiore per l’operato del premier, assai meno tra gli elettori di Lega e Fdi”. In sintesi, al centro si combatte la battaglia degli ego? “Troppi leader o aspiranti tali. Forse la soluzione sarebbe l’individuazione di un 'papa straniero', di una personalità esterna in grado di aggregare”. E se fosse una “papessa”? “L’elettorato è pronto, la politica forse no”. L’unica leader donna è Giorgia Meloni: lei fa paura al centro? “No, Meloni ha già conquistato una parte dei moderati, altrimenti non sarebbe sopra il venti percento. La leader di Fdi fa paura agli elettori di sinistra ma molti ex Fi ed ex Lega ora guardano a lei”.