La città clou
Fatal Verona servita: Tommasi nuovo sindaco, psicodramma a destra
Il candidato civico sostenuto dal centrosinistra trionfa al ballottaggio contro il meloniano Sboarina. Cronaca di un progetto politico nuovo. E di un suicidio annunciato (nonostante le battute di Giorgia e Matteo)
Il colpaccio era nell’aria. Da mesi, settimane, giorni. E i segnali si intravedevano anche allo sprint decisivo, fin dalle prime battute dello spoglio. Ma, sia per scrupolo o scaramanzia, nella sede di Rete! si vuole aspettare la mezzanotte: l’alba di un nuovo giorno, Damiano Tommasi sindaco di Verona. Boom. Battuto il sindaco uscente Federico Sboarina, per oltre 6 mila voti, 53,4 a 46,6 per cento. È un risultato clamoroso, quasi epocale per i vincitori: l’ultima volta – e l’unica, dal 1946 – che un primo cittadino del centrosinistra era entrato a Palazzo Barbieri fu nel 2002 con Paolo Zanotto. All’epoca Tommasi aveva appena giocato i Mondiali con la Nazionale e la Champions League in maglia Roma, col tricolore sul petto. Altri mondi, anzi no. In questi mesi aveva detto che Verona sarebbe stato il suo secondo scudetto. Lo prendevano per sognatore, inesperto, inadeguato. Soprattutto i suoi avversari, amministratori di lunga data. Beffati da un ex calciatore. E molto di più.
Sarebbe infatti riduttivo attribuire il risultato alla semplice “voglia di voltare pagina”, dopo il faticoso quinquennio Sboarina. La campagna elettorale di Tommasi è stata un capolavoro tattico: puntare sul civismo, evitare ogni riferimento ai partiti che lo sostengono – e pazienza se ora Enrico Letta è il primo a festeggiare –, soprattutto offrire proposte anziché alimentare proteste. “Una città va curata, vissuta, parlando per progetti concreti che spesso non hanno colore”, spiegava al Foglio giovedì, mentre batteva a tappeto il territorio veronese. Passeggiate vincenti, perché anche rispetto al primo turno il nuovo sindaco ha aumentato il proprio tesoretto di consensi – da 43 a 51mila – nonostante i candidati esclusi dal ballottaggio pendessero tutti a destra.
Ed eccolo, il terreno dello sfacelo. Delle lotte intestine. Quello di Sboarina era un suicidio annunciato. Su questo tutti d’accordo. Dipende da quando: secondo Flavio Tosi e il Carroccio locale, sin dalla sciagurata scelta di FdI a sostegno di un profilo debole e, cosa risaputa, poco apprezzato in città. Per Matteo Salvini e la Lega dei salotti romani – la grande sconfitta di Verona: prima, durante, dopo il voto – l’errore è aver rifiutato l’apparentamento con il leader di Fare! e Forza Italia, che avrebbe incanalato quel 24 per cento di preferenze verso Sboarina al ballottaggio – calcolo miope, perché l’elettorato tosiano si è confermato moderato. Alla fine, pure gli irriducibili di Giorgia Meloni fanno mea culpa: nell’ultima settimana il sindaco uscente quasi va contro la leader di partito e rifiuta “ogni accordo anche informale con Tosi” – lo ribadisce pure stanotte, a spoglio concluso. Per pure ripicche personali.
Delle tre l’una, seguiranno lunghi strascichi nella traballante coalizione di centrodestra. Anzi, sono già iniziati: “Non si capisce perché governiamo con Pd e M5S a Roma e Sboarina non possa farlo con Tosi a Verona”, il primo a sparare, in diretta su TeleArena, è il deputato leghista Paolo Paternoster. “A Sboarina serve un bagno d’umiltà”, rincarano la dose i forzisti. Bersaglio fin troppo facile, ora, l’ex sindaco. Nel quartier generale di FdI ci si limita ad ammettere la sconfitta. Scaricare il proprio uomo diventa l’ultimo dei problemi. Perché Meloni lungo l’Adige ha scommesso tanto, facendo di Verona quasi una prova generale delle prossime elezioni politiche. E da sola ha perso. L’unica consolazione a cui può aggrapparsi Salvini. Che si appresta ad affrontare il terremoto veneto: per mesi la base del Carroccio l’ha contestato apertamente, lui e il commissario regionale Alberto Stefani hanno puntato su cavalli sbagliati – anche Padova, altro capolavoro alla rovescia – o si sono sciolti nell’irrilevanza delle trattative di coalizione. Il conto presentato dal giugno elettorale è impietoso. Anche fuori dalla regione, anche nelle altre città al ballottaggio da nord a sud: Alessandria, Parma, Catanzaro.
La risposta per tutti ce l’ha Tommasi, il terzo che gode: “Questa città ha dimostrato che si può far politica parlando di progetti e senza insultare l’avversario”, il neosindaco si prende l’abbraccio della sua folla. Per tutta la notte, prevista festa grande in Piazza Bra. A due passi da dove Salvini e Meloni, soltanto poche settimane fa, sragionavano sulle sorti di una battaglia già persa: “Non faremo la fine di Romeo e Giulietta”. E mai, invece, Verona fu più fatal.