La Rai va in telesciopero sulle amministrative
Giorno di ballottaggi. E cosa succede nel servizio pubblico? Niente dirette: 11mila dipendenti tenuti in scacco dallo sciopero del personale tecnico della produzione
L’uomo Rai in sintesi: quando non brama incarichi, sciopera, quando non sciopera, brama incarichi. Per l’informazione c’è ovviamente la concorrenza. Apologo. E’ domenica 26 giugno, giorno di ballottaggio e le conseguenze del voto hanno significati nazionali. Mediaset e La7 prevedono, come è normale che sia, maratone. Sanno che c’è una domanda di notizie e la coprono. In Rai sanno che gli italiani accenderanno la tv e cosa pensa il lodevole “corpo Rai”? “Ecco il giorno giusto per fare capire chi siamo! Sciopero!”.
Nel più assoluto silenzio si scopre verso le 20, al Tg, che le edizioni sono ridotte causa sciopero del personale tecnico della produzione. Non ci sono speciali sulle elezioni, nulla, almeno fino a mezzanotte e cinque minuti, cinque minuti dopo la giornata di sciopero. A quel punto Rainews inizia la diretta ma, senza traino, lo share sarà dello 0.4 per cento. Qual è il motivo dello sciopero di questi “samurai Rai”? Piano ferie e il ritorno in sede. Sono i gilet gialli dello smart working Rai: “A ridatecelo!”. Ma quanti sono? E’ una forza storica, al punto da impedire a un’azienda con 11 mila dipendenti di offrire informazione, oppure no?
Lo sciopero ha riguardato solo il Centro di produzione di Roma. Peccato che la Rai abbia altri tre centri di produzione sparsi per l’Italia. Sono quelli di Torino, Milano, Napoli. E’ un caso classico da “Fuortes”. Cosa aveva fatto l’ad Rai, nel 2014, quando era a capo del Teatro dell’Opera di Roma? Di fronte allo sciopero degli orchestrali decise di fare salire il solo pianista. La Rai di Roma scioperava? C’era pur sempre la Rai di Milano, Torino e Napoli… Tutta l’informazione nasce nel disagio tranne in Rai. Qui muore per agiatezza.