Passeggiate romane

Nodo regionali: Sicilia, Lazio, Lombardia. Ecco le prossime spine del Pd

Letta ha lasciato intendere ai suoi che dopo le primarie siciliane bisognerà trarre un bilancio e vedere se utilizzare questo strumento anche nelle altre due regioni dove invece si vota più tardi. Nuove sfide per il segretario del Pd dopo i successi, tra le elezioni e il fragilissimo campo largo

Al Nazareno si pensa già alle prossime elezioni politiche. E alle regionali… E qui vengono le dolenti note. Le prime sono in Sicilia, a ottobre. Il Partito democratico pensava di approfittare dei dissidi del centrodestra, che in Sicilia sono molto forti, per tentare la sorte. Ma in quella regione, secondo i dem, senza l’apporto dei 5 stelle non è possibile farcela. Anche se pure lì i grillini sono calati, come nel resto del territorio nazionale, mantengono pur sempre un certo elettorato. Perciò i dem si sono fatti “ingabbiare” nelle primarie di coalizione. Fosse per loro adesso eviterebbero questo passaggio, ma non c’è niente da fare. Perciò Letta ha deciso di procedere con cautela. E ha già messo le mani avanti per il futuro. Cioè ha lasciato intendere ai suoi che dopo le primarie siciliane bisognerà trarre un bilancio e vedere se utilizzare questo strumento anche nelle altre due regioni dove invece si vota più tardi. Cioè il Lazio e la Lombardia. Prima vuole capire che cosa succederà in Sicilia, ossia se sarà possibile gestire delle primarie di coalizione con il Movimento 5 stelle, cioè con un alleato che non sempre si mostra affidabile. In più il segretario non vuole dare l’impressione che il cosiddetto campo largo si riduca a un accordo tra dem e 5 stelle, perché sa che così l’alleanza di centrosinistra non avrebbe nessuna chance di vittoria in vista delle politiche del 2023.


Anche nel Lazio qualcuno pensava alle primarie di coalizione dal momento che i grillini sono in giunta con Nicola Zingaretti. Perché in quella regione i problemi sono molteplici. Infatti sia i dem che i pentastellati sono divisi. In casa grillina c’è da capire che cosa intenda fare Virginia Raggi che comunque in regione mantiene un suo pacchetto di voti e non risponde certo a Giuseppe Conte. Ma anche nel Pd sono spaccati in tre tronconi. Nicola Zingaretti e Goffredo Bettini, che pure non vanno più d’accordo come un tempo, sono favorevoli alla candidatura di Enrico Gasbarra. Il ministro della Cultura Dario Franceschini tifa per Daniele Leodori. E poi c’è l’autocandidatura, molto autorevole, dell’assessore alla Sanità della Regione Lazio D’Amato. Gli ex margheritini del Pd sono convinti che però ci sia un unico candidato vincente, cioè Leodori. Ma comunque fare le primarie con un partito così diviso è pur sempre un rischio. Che può soltanto aumentare nel caso di primarie di coalizione che coinvolgano i più che litigiosi grillini del Lazio.


Terzo capitolo, la Lombardia. Qui cercare di coinvolgere il Movimento 5 stelle potrebbe addirittura essere un rischio perché i grillini da quelle parti allontano i consensi più che portarli. Perciò le primarie di coalizione dovrebbero essere escluse. L’idea è quella di trovare un nome talmente autorevole per cui le primarie diventino un esercizio inutile. Una personalità non di partito con una coalizione che prenda Azione e Italia viva e nel caso coinvolga anche i grillini però  solo come gregari.  Ma chi? Si era fatto il nome di Carlo Cottarelli che però sembra convincere poco non soltanto l’ala sinistra del Partito democratico milanese. Letta comunque si è dato fino all’autunno per ragionarci sopra e decidere. Molto dipenderà anche da come si muove il centrodestra visto che persino in Lombardia si avvertono i primi scricchiolii di quello schieramento.


E a proposito di coalizioni ammaccate e litigiose, nel centrodestra più d’uno è convinto che Giorgia Meloni, alla fine, potrebbe presentarsi alle elezioni politiche da sola, lasciando la Lega e Forza Italia al loro destino. Fantasie? Chissà.

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