Meloni studia un piano per fare a meno dei ricatti di Salvini e Berlusconi

Valerio Valentini

La volontà di blindare Musumeci in Sicilia, la minaccia a Fontana attraverso la Moratti: così la leader di FdI prova a uscire dalla tela del centrodestra. "Ci sto solo se si rispettano i patti". E con gli alleati polacchi tira ceffoni alla Lega su Putin

I colonnelli intorno a lei si dicono convinti che alla fine la soluzione si troverà: “La ricandidatura di Musumeci ci sarà”, confida il capogruppo Luca Ciriani ai suoi colleghi senatori. E a quel punto, anche gli altri nodi, dalla Lombardia al Lazio, potrebbero sciogliersi. Questa, almeno, è quella che chi sta intorno a Giorgia Meloni definisce “la strategia per cui nessuno si farà del male”. E però lei, la grande capa, ha deciso che è opportuno prepararne anche un altro, di piano. Ma di rottura. “Perché io ci sto, eccome, nel centrodestra, ma a patto che tutti rispettino le regole”. Altrimenti, va da sé, lei sa come fare saltare il tavolo. E in questo suo voler mostrare i muscoli ci sta pure, ovviamente, la pretesa di esibire una propensione internazionale di FdI.

 

Il vertice di Ecr, il partito dei Conservatori europei di cui Meloni è presidente, era infatti in programma a Bruxelles, all’inizio. Poi lo zelo di Raffaele Fitto, i buoni rapporti con gli amici polacchi, hanno fatto il resto. Matteo Salvini era convinto di potere soffiarglieli sotto al naso, i seguaci di Jaroslaw Kaczynski, e portarli in dote a Viktor Orbán per fare il grande gruppo del sovranismo europeo. E allora lei, donna Giorgia, li ospita nella capitale con tutti gli onori – hotel di gran lusso a Via Veneto, comme il faut – e con la convinzione di poter vivere la sua piccola apoteosi, che è un po’ pure la sua vendetta. “Qualche mese fa – dice inaugurando i lavori di una tre giorni di dibattiti a porte chiuse – noi ci siamo interrogati sul futuro del nostro gruppo europeo e a distanza di mesi dobbiamo essere fieri della scelta che abbiamo fatto, di difendere la nostra specificità di non rischiare di annacquare la nostra identità”. E giù a celebrare i leader dell’est Europa, suoi alleati, che per primi hanno portato la solidarietà a Zelensky. Altro che Orbán, altro che Tonino Capuano: questo è il messaggio. “Le titubanze di fronte a quello che è successo sono ammesse nel cittadino comune. Ma un leader politico non può non capire quale è la posta in gioco, in Ucraina, non può non riconoscere la minaccia che Putin porta a tutti noi, non può tentennare, balbettare”.  Can you hear me, Matteo?

 

E insomma sarà pure un cedimento all’immaginario del momento, certo, ma ecco che  un paio di deputati di FdI intercettano i due loro capigruppo, Ciriani e Lollobrigida, intenti a preparare il loro intervento per le assemblee di questi giorni, e se la ridono ricordando di avere incrociato gli omologhi leghisti a pranzo vicino piazza delle Coppelle. “Due facce, c’avevano...”. E non a caso: perché l’uno, Riccardo Molinari, s’è visto annichilire il suo candidato nel ballottaggio nella sua Alessandria, e l’altro, Massimiliano Romeo, la sconfitta in casa l’ha subita a Monza. “Magari da soli noi non vinciamo; ma se FI e Lega vogliono metterci nell’angolo, sappiano che neppure loro, senza di noi, vincono da nessuna parte”, è l’analisi che si fa a Via della Scrofa.

 

Dove, appunto, si studia l’eventuale piano di guerra. Perché in Sicilia, là dove tutte le divergenze potrebbero iniziare ad appianarsi, la situazione è più difficile del previsto. Berlusconi ha anche inviato il fido  Dell’Utri a parlare con Musumeci, e il responso, di per sé, non è stato negativo: “Non sull’uomo, almeno”. Solo che poi c’è la politica. E a non volere Musumeci, è stato spiegato al Cav. dai vertici nazionali del partito, non è solo l’irascibile Miccichè: c’è pure la contrarietà dell’Udc e di Raffaele Lombardo, e quella di Cateno De Luca, e quella di Saverio Romano. E ovviamente quella della Lega. “Insomma, è più complessa di come la vorrebbe la Meloni”, spiega Maurizio Gasparri. Che rivendica il diritto di prelazione sulle candidature di FI: “I disastri di Michetti e Bernardo hanno paternità precise. Il suicidio di Sboarina che non ha voluto l’apparentamento a Verona pure. Dunque, se non è chiedere troppo, è bene che stavolta Salvini e Meloni si affidino alla saggezza di Berlusconi”. Sennonché Ignazio La Russa ribalta il ragionamento: “Vedo che Zaia, benedicendo l’eventuale riconferma di Fontana in Lombardia, parla dell’istituto paragiuridico del presidente uscente. Ma se è una regola, questa, varrà sicuramente anche in Sicilia”. E insomma non ci si sposta. E anzi, nella Lega sono convinti che sia stata proprio la Meloni a suggerire a Letizia Moratti di farsi avanti, per la sfida in Lombardia. E allora tutto si complica. Tutto s’ingarbuglia, ancora.

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.