Destra e Pd si fanno imbeccare dai tassisti: l'ultima frontiera della Concorrenza. Ma Draghi non cede
Sul ddl Concorrenza incombono le scadenze del Pnrr, e anche per questo il sottosegretario Garofoli ha prospettato una mediazione sui tassinari. Il premier non ci sta, però. Il ricatto elettorale dei partiti, schierati a difesa della conservazione
Che lo stallo stesse trasformandosi in palude, gli uffici legislativi del ministero dei Trasporti lo hanno capito quando si sono visti presentare, durante le riunioni alla Camera, emendamenti che erano il copia incolla di quelle che le associazioni dei tassisti avevano già inviato a Porta Pia settimane addietro. Sorpresa? Mica tanto. Perché l’ultima volta che si toccò la materia, in epoca di Conte I, si finì con una baruffa gialloverde che impose un Cdm straordinario in un’auletta del Senato, a mezzanotte passata, a pochi giorni da Natale e con la legge di Bilancio agli sgoccioli: la versione finale del testo approvata, che sanciva la vittoria dei tassinari sugli Ncc, era scritta su un fax intestato “3570”. E insomma è anche per questo che ora Mario Draghi non ammette compromessi. Neppure quelli suggeriti da Roberto Garofoli. Il sottosegretario alla Presidenza, di fronte alle bizze trasversali dei partiti, propenderebbe infatti per cedere: meglio stralciare quell’articolo della discordia, quello sui tassisti, e arrivare a una tregua che consenta al resto del ddl Concorrenza di proseguire il suo iter nel rispetto dei tempi previsti dal Pnrr, che restano stretti. Draghi però non ci sta. E ha ribadito nei giorni scorsi di voler tenere il punto. L’articolo resta, la liberalizzazione ci sarà.
Che poi, a ben vedere, anche tutto questo evocare la liberalizzazione come la mannaia sul limite al numero dei licenze è assai eccessivo. Negli strepiti di chi – dai patrioti meloniani fino al Pd, che a lasciare alla destra il malcontento dei tassisti non ci sta – c’è più che altro una chiusura a priori, la stessa ansia di conservazione che ha visto il Senato paralizzato dalle rimostranze trasversali a difesa dei balneari, l’altra categoria sacrificata sull’altare dell’ordoliberismo di Bruxelles, nella retorica parlamentare. Che sposa, peraltro, le letture più oltranziste all’interno della stessa categoria. Perché, dopo l’accordo con Uber varato a maggio scorso, con la sostanziale condivisione delle piattaforme per la prenotazione delle corse, dopo che insomma s’è dimostrato che la collaborazione non implica il tracollo, anche tra le auto bianche s’è diffuso un atteggiamento più aperto alle modifiche. Perché mai, ad esempio, quando piove e ci sono picchi di richieste da parte degli utenti, i tassisti che non sono di turno non possono accettare le corse anche se disponibili, magari pure chiedendo una tariffa più alta? Più che liberalizzazione, pare buon senso. Che però è osteggiato dalle frange più radicali del settore: quelle che animano proteste e scioperi in giro per l’Italia.
Incentivando la politica ad assecondare l’intransigenza della status quo. Con picchi di situazionismo notevoli. C’è Forza Italia, per dire, il partito della rivoluzione liberale, che contesta a Draghi di “aprire le porte di Palazzo Chigi alle multinazionali, tenendole chiuse per i rappresentanti di lavoratori del territorio”, manco fosse la Cgil. Ci sono il Pd e il M5s che, nel vagheggiare mediazioni, suggeriscono di attuare normative già varate in passato, forse dimenticando di quando al governo, nel BisConte, c’erano il Pd e il M5s: e si rifiutarono di attuare le normative già varate in passato. E poi c’è Salvini, che s’infervora a difesa dei tassinari, ignorando che tra i promotori del ddl Concorrenza c’è il suo ministro Giorgetti, lo stesso che del resto già nel 2018, insieme a Garavaglia, combatté a lungo contro il duo grillino Di Maio-Castelli per aprire il mercato agli Ncc, arrendendosi all’asse tra il M5s e il 3570. Il tutto, con la variabile non negoziabile del tempo. Perché il 22 luglio il provvedimento va approvato alla Camera, per tornare in fretta al Senato per una terza e definitiva lettura. Entro dicembre vanno approvati tutti i decreti attuativi della legge sulla Concorrenza: ne va del rispetto delle scadenze del Pnrr. E su quelle Draghi non ammette tentennamenti. E neppure stralci.