L'editoriale
L'invasione dell'Ucraina come specchio dei nostri errori del passato
Quattro mesi di guerra ci hanno ricordato i danni dei professionisti del no e le follie del sovranismo, che ha messo in discussione le nostre coordinate internazionali. Farne tesoro, in vista di nuovi assalti dei cavalli di Troia del populismo
Se non ci fosse una guerra di mezzo, se non ci fosse di mezzo la devastazione dell’Ucraina, se non ci fosse di mezzo il massacro di un popolo, se non ci fosse di mezzo la mattanza quotidiana perpetrata dai russi, ci sarebbe quasi da dire, come ha scritto provocatoriamente qualche settimana fa sul Washington Post David Ignatius, che Putin in fondo ha fatto anche cose buone. Le ha fatte naturalmente in senso lato, in senso del tutto involontario, ma a quattro mesi dall’inizio della guerra in Ucraina si può dire senza paura di essere smentiti che la risposta messa in campo dall’occidente contro la Russia ha prodotto risultati importanti non solo contro i nemici esterni ma anche contro i nemici interni.
I risultati prodotti contro i nemici esterni, dove per nemici esterni si intendono prima di tutto gli aderenti all’internazionale putiniana, sono molti e sono ormai visibili a occhio nudo. Putin ha scelto di invadere l’Ucraina anche per tenerla lontana il più possibile dalla Nato e il risultato è che l’invasione dell’Ucraina ha fatto moltiplicare i chilometri di confine condivisi dalla Russia con i paesi della Nato (il confine che divide la Russia dalla Finlandia, che insieme con la Svezia ha fatto un passo nella Nato, è di 1.300 km).
Putin ha invaso l’Ucraina scommettendo sulla incapacità della Nato di dare un sostegno coerente alla resistenza di Zelensky e il risultato è che quattro mesi dopo l’ingresso armato nel Donbas tutti i paesi europei appartenenti alla Nato hanno scelto di aumentare il proprio budget dedicato alle spese militari. Putin ha invaso l’Ucraina scommettendo sulla morte cerebrale della Nato, come da storica definizione di Emmanuel Macron, e quattro mesi dopo la Nato può vantare non solo la presenza di alcuni nuovi membri, come Svezia e Finlandia che hanno firmato il protocollo di accesso, ma può anche dimostrare che alla fine dei conti anche paesi culturalmente distanti dall’occidente, come la Turchia, quando devono scegliere da che parte stare, in una guerra, grazie all’appartenenza alla Nato scelgono quasi sempre di stare dalla parte giusta della storia (il quasi sempre naturalmente è dedicato ai curdi, che di solito sono quelli che ci rimettono quando la Turchia asseconda le richieste dei suoi partner della Nato). Putin ha invaso l’Ucraina scommettendo sulla presenza copiosa di cavalli di Troia all’interno dell’Europa desiderosi di non essere allineati ai diktat europeisti, ma quattro mesi dopo l’inizio della guerra il risultato è che l’Unione europea è rimasta sempre unita, le sanzioni sono state approvate sempre all’unanimità, l’indipendenza dall’energia russa è diventata parte di un percorso irreversibile, le fratture tra Europa dell’est ed Europa dell’ovest si sono improvvisamente ricomposte e, come se non bastasse, rispetto a quattro mesi fa l’Unione europea è pronta ad accogliere nel suo perimetro anche altri due paesi: Ucraina e Moldavia.
La reazione contro i nemici esterni, da parte dell’occidente, è stata dura, progressiva, coerente, ma accanto alla reazione contro i nemici esterni ci sono anche reazioni contri i nemici interni che meritano di essere valorizzate. L’invasione dell’Ucraina, da parte della Russia, ha avuto l’effetto di mettere di fronte alla classe dirigente di un paese come l’Italia uno specchio con i suoi peccati del passato. E i quattro mesi di guerra hanno permesso di aprire gli occhi su molti fronti. Ci hanno ricordato la follia di aver dato credito a partiti che in passato hanno fatto di tutto per rendere l’Italia più vulnerabile di fronte alle crisi sistemiche (più protezionismo uguale meno protezione).
Ci hanno ricordato la follia di non aver combattuto a sufficienza i partiti desiderosi di trasformare l’incompetenza in un sinonimo di onestà (uno non vale l’altro). Ci hanno ricordato la follia di aver messo in discussione le nostre coordinate internazionali (fino a qualche anno fa, il M5s e la Lega sostenevano di sentirsi più a casa a Mosca che a Bruxelles). Ci hanno ricordato i danni causati da tutti coloro che hanno cercato di combattere il principio della solidarietà europea (senza solidarietà non ci sarebbe stato il debito comune e senza il debito comune non ci sarebbe stato il Recovery). Ci hanno ricordato i danni causati da tutti coloro che hanno cercato di mettere nelle mani dei professionisti della gogna il destino di un gigante come l’Eni (senza il quale oggi l’Italia avrebbe le spalle meno coperte per gestire la sostituzione del gas russo). Ci hanno ricordato i danni che avrebbero potuto causare i professionisti del no (fino a tre anni fa c’erano politici che chiedevano di fermare i lavori di uno dei gasdotti grazie ai quali l’Italia riuscirà a compensare nei prossimi mesi parte del gas perso dalla Russia: il Tap). Ci hanno ricordato la follia di aver combattuto per anni per evitare la trivellazione dei fondali dei nostri mari (il gas che abbiamo scelto di non estrarre noi, nel Mar Adriatico, hanno iniziato da anni a estrarlo i nostri vicini di casa). Ci hanno ricordato la follia di aver dato alle nostre sovrintendenze poteri di vita e di morte sui nostri sistemi di approvvigionamento energetico (secondo un dossier di Elettricità futura, il 70 per cento dei progetti rinnovabili è fermo a causa della burocrazia).
E’ possibile che i robusti anticorpi che l’occidente si è accorto di avere per combattere i virus esterni e quelli interni – per contrastare i nemici della democrazia espliciti e quelli più impliciti, per governare i cavalli di Troia del populismo più evidenti e quelli meno evidenti – siano anticorpi destinati a esaurirsi presto e siano anticorpi destinati a essere logorati dalla prospettiva di una guerra lunga. Ma la verità è che l’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia ha messo di fronte all’occidente lo specchio dei suoi peccati passati. Farne tesoro, anche domani, è il modo migliore per non farsi trovare impreparati, quando i cavalli di Troia del populismo torneranno a bussare con insistenza alle nostre porte.