Aventino a 5 stelle
M5s, Conte: "Non votiamo la fiducia al dl Aiuti"
Dopo una giornata da equilibrista la decisione viene comunicata al Consiglio nazionale dopo le pressioni dei senatori. Ma nel Movimento c'è chi dice: "È cotto"
Appare, scompare, ritorna. E poi dà l’annuncio ai parlamentari del M5s: penso che non dovremmo partecipare al voto. Giuseppe Conte passa la giornata, forse la prima da leader dei grillini, in balìa degli eventi. Apre il Consiglio nazionale del partito con un’idea che poi cambia, smussa, rivede in corso d’opera più e più volte. Voci dei senatori pentastellati in trepidante attesa: “E’ cotto”. Ettore Licheri, ex capogruppo, si sfoga con i colleghi: “Non siamo arrivati preparati a questo appuntamento e ora ci hanno messo alle strette”.
L’ex premier si presenta davanti ai i vertici pentastellati con l’idea di non votare la fiducia al dl Aiuti, di uscire dall’aula e poi, in caso di rinvio alle Camere di Draghi, di dargli il via libera sperando nel frattempo di aver ottenuto altre concessioni rispetto ai nove punti presentati. Escono le agenzie con le dichiarazioni di Matteo Salvini, poi di Enrico Letta. Il voto anticipato in caso di Aventino è un’eventualità che Lega e Pd mettono sul tavolo. E la postura di Conte cambia di nuovo. Fra i governisti, in questo Consiglio nazionale che diventa uno sfogatoio, ci sono Davide Crippa, Stefano Patuanelli, Chiara Appendino, Alessandra Todde e Alfonso Bonafede. Duri gli altri vicepresidenti. Il senatore Gianluca Perilli gli urla su Zoom: “Basta, dobbiamo uscire”. Conte, con un filo di voce: “Vediamo”.
E’ un Conte spaesato, alle prese con una decisione “complicata”. Non sa se sia tutto un bluff o se oppure stia accompagnando il suo partito, o meglio ciò che ne rimane, verso le urne anticipate. “Non possiamo perdere la faccia così”, gli dicono i duri, i vicepresidenti di attacco che sembrano spiegargli: vai, buttati. A Palazzo Madama tutti vogliono un segnale in Aula, nel M5s. Anche Paola Taverna, silente per ore, ma incisiva nel pretendere una prova di orgoglio. Conte è tempestato da mille input. Nel corso di una telefonata Mario Draghi gli ribadisce che non esistono formule bizantine né mezze porzioni: deve votare la fiducia al decreto e spicciarsi il problema politico che ha in casa. Ne va, è il ragionamento del premier, della salute del governo. Ecco, questo tasto, la ricerca di drammatizzare gli esiti della sua scelta, spingono Conte a “ulteriori pause di riflessioni”.
Alle 17 esce di casa. E puff scompare. Si rincorrono voci di un incontro con il capo dello Stato. Che però non viene confermato. Il buco nell’agenda del capo del M5s alimenta l’idea di una resa. O meglio di una frenata abbastanza clamorosa. Conte capisce di non gestire internamente la cinquantina di senatori che sembrano agguerriti, pronti a tutto e che non vedono il voto all’orizzonte. Mariolina Castellone, che è la capogruppo M5s in Senato, gli prospetta in giornata un quadro abbastanza complicato. Che suona così: caro Giuseppe, se domani ci pieghiamo sulla fiducia, si spacca il gruppo, io non sono in grado di reggere una situazione del genere.
Di converso l’ala dei frenatori lo mette in guardia sugli effetti di questo non voto. Fra i più preoccupati c’è Federico D’Incà a cui arrivano i dispacci degli altri partner della maggioranza: salta tutto, se fate scherzi. E non lo ripetono solo dal Pd, ma anche dal Carroccio. Quanto basta per far arrivare a Conte, sempre lui e sempre più provato, messaggi di allarme. Con Conte scomparso dai radar piomba sulla sede del partito la nota di Pietro Parolin, segretario di stato vaticano. “Serve responsabilità, il governo più è stabile e più sarà in grado di far fronte alle tante sfide che si pongono e che sono davvero epocali”.
La cinta intorno all’ex premier si stringe ancora di più. E iniziano così a saltargli in testa tutti i fantasmi che da giorni, da quando si è ficcato in questo braccio di ferro, lo passano a trovare di tanto in tanto. La paura di passare per il Matteo Salvini della situazione con un Papeete bis, il timore di perdere l’allure di uomo delle istituzioni. Non sa dove collocare il M5s, questo sì. Perché la svolta movimentista non è proprio la sua tazza di tè, perché in Senato c’è chi evoca anche Dibba e Raggi. Quando manca un quarto d’ora alle otto l’ex presidente del Consiglio si palesa finalmente nella sede nel Movimento. Riprende dunque il Consiglio nazionale. Questa volta sarebbe arrivato il momento di prendere una decisione. Dal governo sono sicuri che alla fine Conte cederà, che frenerà, che sta facendo di tutto per non arrivare al muro contro muro. “Aspettiamo il prossimo decreto annunciato da Draghi per vedere se confermargli o meno la fiducia”, è uno dei pensieri che escono dal partito, pieno di spifferi dal sapore di penultimatum.
Simone Canettieri