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al bivio

Elezioni anticipate o nuovo governo: cosa succede dopo le dimissioni di Draghi

Antonia Ferri

Mercoledì il premier sarà in Aula per riferire al Parlamento. Se la maggioranza non saprà ricompattarsi Mattarella potrebbe valutare un esecutivo di scopo oppure sciogliere le Camere. L'ipotesi voto a ottobre e l'esercizio provvisorio di bilancio 

Ieri Mario Draghi ha presentato le sue dimissioni dopo che il M5s non ha partecipato al voto di fiducia sul dl Aiuti. La risposta è arrivata poco dopo: “Il Presidente della Repubblica non ha accolto le dimissioni e ha invitato il Presidente del Consiglio a presentarsi al Parlamento per rendere comunicazioni “. Così, mercoledì prossimo il primo ministro sarà alle Camere per verificare la fiducia da parte dei partiti al governo – prima non è possibile per precedenti impegni in Algeria legati ai rifornimenti di gas.

È una prima fase: la "parlamentarizzazione" della crisi. Se la spaccatura si risolvesse in un voto di fiducia – opzione comunque possibile, visto che i numeri per una maggioranza ci sarebbero anche senza i voti dei pentastellati –, l’esecutivo potrebbe concludere la legislatura e andare alle elezioni nella data prevista per il 2023. Si è apertamente schierato a favore di questa via Enrico Letta, smarcandosi dalla linea del suo (ex?) maggior alleato di coalizione, Giuseppe Conte. Il leader dem ha dichiarato in un tweet: “Ora ci sono cinque giorni per lavorare affinché il Parlamento confermi la fiducia al Governo Draghi”. 

 

Ma la storia politica, passata e recente del paese, come nel caso del mandato allo stesso Mario Draghi, insegna che non esistono previsioni certe. Inoltre, Draghi ha più volte detto di non voler guidare un governo senza il M5s. 

Se mercoledì in Aula non si dovesse ricompattare la maggioranza, il capo del governo tornerebbe da Sergio Mattarella. 

Il presidente della Repubblica avrebbe due opzioni: o dare mandato esplorativo a un'altra figura di alto profilo per formare un governo di unità nazionale con una nuova maggioranza per arrivare al voto oppure sciogliere le camere e indire nuove elezioni. Anticipate.

Comunque sia, l’eventualità che gli elettori tornino alle urne in tempi (troppo) brevi non è improbabile. Questo quadro prevederebbe il voto entro un minimo di 60 e un massimo di 70 giorni, dunque entro l'inizio di ottobre. Il che presuppone che gli obiettivi più urgenti, soprattutto quelli che riguardano il Piano nazionale di ripresa e resilienza, dovranno essere portati a compimento entro due mesi. Un contesto di instabilità che farebbe comodo a Fratelli d'Italia, primo partito d’Italia – se si considerano le intenzioni dei cittadini nei sondaggi – e maggior partito di opposizione. 

 

Per il paese il voto a ottobre sarebbe da leggersi: esercizio provvisorio di bilancio, ovvero una misura prevista dalla Costituzione a cui si ricorre nel caso in cui il Parlamento non sia in grado di approvare la nuova Legge di bilancio entro fine anno. In questo caso è concesso più tempo, fino a un massimo di quattro mesi, durante i quali lo stato ha una capacità di spesa ridotta. Se si andasse al voto l'esercizio provvisorio sarebbe quasi una certezza, perché, tra insediamento, consultazioni, incarico, lista dei ministri il nuovo esecutivo non sarebbe operativo prima di dicembre. Andrà verificato l'effetto di tutto questo sul Pnrr e su eventuali nuovi stanziamenti a favore di cittadini e imprese per calmierare inflazione e prezzi energetici. 

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