Il caso
Il gioco dell'oca di Conte: "Sì a Draghi se dice ok ai 9 punti". Teme la scissione di Crippa
Il Pd è convinto che il premier non lascerà. Il capo del M5s è prigioniero delle sue assemblee: ha il timore dell'ennesima uscita di parlamentari
“Ritiriamo i ministri dal governo”. Voce di un deputato: “Scusa, presidente Conte, ma Federico D’Incà non si dimetterebbe”. “Allora chiediamo a Draghi risposte sui nostri nove punti”. E se ci dice di no o di sì a metà che facciamo? “Ritiriamo i ministri, anzi no: aspettiamo”. Un’agenzia di stampa irrompe in questa assemblea perenne da liceo occupato che è il M5s. Beppe Grillo ha cambiato la foto del profilo su WhatsApp. L’ha sostituita con un’immagine della coccoina. Vuole dire al suo M5s che non deve essere attaccato alle poltrone. Servirebbe un’interpretazione originaria. Bisognerebbe sentire Rocco Casalino, che tutto sa. Ma il portavoce è in “modalità off” dopo che il capogruppo alla Camera del M5S, Davide Crippa, non gli ha rinnovato il contratto di consulenza da 75 mila euro. “Mi rimane uno uguale al Senato, però”, dice Casalino. L’umbratile Crippa è diventato un personaggio assoluto in questo caos.
Si presenta in assemblea congiunta dei parlamentari dicendo che bisogna votare la fiducia a Draghi. Pare che abbia una lista di quindici-venti deputati pronti a seguirlo verso un altro approdo per salvare il governo. E’ il piano del Pd di Enrico Letta, ma anche dello scissionista Luigi Di Maio. Crippa si presenta alla conferenza dei capigruppo per fissare l’agenda delle comunicazioni di Draghi e si accoda alla richiesta di Pd, Leu e Iv di iniziare da Montecitorio. Richiesta respinta. Conte non ne sapeva nulla: vorrebbe sfiduciarlo, mandarlo in Siberia. Vittoria Baldino, che è il volto tv dei pentastellati, prende di petto il capogruppo: “Ma con quale maglia giochi?”. Questa volta i governisti sono in minoranza. Non parlano. Lasciano sfogare i soldati dell’ex premier. Che continua a vivere da giorni su Zoom: microfono acceso e telecamere spenta. Lo cerca Enrico Letta. Il segretario del Pd è convinto che alla fine Draghi non potrà tirarsi indietro: troppe le pressioni internazionali affinché il governo vada avanti. Telefonate fra M5s e Nazareno, i ministri dem si dividono gli interlocutori. Il dramma è che il primo a essere confuso, combattuto, strattonato è proprio Conte, immerso in una seduta di autocoscienza collettiva.
Non si fida di Crippa, che lavora a staccare un pezzo di parlamentari da portare in dote a Draghi. E è addirittura alle prese con chi, come il mitico ex sottosegretario alla Difesa Angelo Tofalo, chiede che sia fatta chiarezza sulla regola del secondo mandato. Quando? “Prima di mercoledì”. Intanto è pronto, ma viene smentito e poi risorge, un documento che sempre Crippa è pronto a far girare tra le anime governiste che vogliono votare la fiducia al governo. I tre ministri pentastellati diventano sub: Stefano Patuanelli non pervenuto, D’Incà, che è il titolare dei Rapporti con il Parlamento, temporeggia, Fabiana Dadone rompe il silenzio: “Seguirò la linea di Giuseppe”. Quale, ministro? “Vediamo”. In teoria se mercoledì il M5s non dovesse votare la fiducia a Draghi, tutta la delegazione dovrebbe dimettersi un minuto prima. Ma in teoria. Ritorna la fantastica operazione dell’appoggio esterno, dunque. Con l’ex banchiere che sarebbe costretto a un rimpastino rapido e forse indolore. Letta continua a dire, anche a Conte, che “la nostra prima opzione è la continuità del governo Draghi. C’è una richiesta di serietà fortissima che viene dal Paese: niente salti nel buio”. Allo stesso tempo il segretario Pd fa sapere di aver incontrato gli omologhi regionali per iniziare a parlare della campagna elettorale. Conte in serata dice che Draghi dovrà decidere il perimetro del percorso. Riccardo Fraccaro, come rivelato dal Foglio, scopre che il governo aveva dato dei segnali sul Superbonus attivando un tavolo tecnico al ministero dell’Economia sulla cessione dei crediti. Conte sapeva, ma non lo ha detto.