Crisi di governo
La Lega traballa ma non molla: tra Draghi e il voto, meglio Draghi. Asse con il Cav. e muro anti Meloni
Salvini apre la riunione con i suoi parlamentari: "Ho stima per Draghi". Nel partito si agitano forse contrapposte, ma il segretario sa che servirà arrivare a mercoledì con una linea unica. Intanto Berlusconi riunisce nella sua residenza romana lo stato maggiore di Fi. FdI osserva da lontano: con Draghi in pista lo strappo è più difficile
Da un lato il volto biondo ma vorace di Giorgia Meloni, pronta a far vincere il centrodestra, ma senza regali agli alleati su premiership e collegi. Dall’altro la Lega dei territori e i governatori che spingono in maniera sempre più palese perché Mario Draghi rimanga – se vorrà – a Palazzo Chigi. Due indizi non faranno una prova, ma la sensazione, a pochi passi dal giorno in cui Mario Draghi si recherà alle Camere per le sue comunicazioni, è che la Lega sarà tra coloro che cercheranno comunque di tenere l’ex presidente della Bce sulla tolda di comando del governo italiano. Di certo, al momento, non sarà il Carroccio a impedirlo.
“Se dopo le comunicazione di Draghi si voterà la fiducia come facciamo a non votarla, a prescindere da cosa faranno i 5 stelle?”, spiega un parlamentare leghista. E’ vero però che dentro al partito le spinte sono divergenti. C’è chi, come il governatore del Friuli-Venezia Giulia Massimiliano Fedriga, lo dice chiaro e tondo: “Non posso utilizzare il mio ruolo istituzionale per fare firme, ma al contempo voglio rimarcare la mia fortissima stima in Draghi”. Ma c’è anche un gruppo di dirigenti e parlamentari molto vicini al segretario che chiede invece di tornare al voto. Non solo la solita coppia di deputati Alberto Bagnai e Claudio Borghi, nati come euroexit e ritrovatisi, loro malgrado, a sostenere un esecutivo guidato da un ex presidente della Bce (sul profilo Twitter di Borghi va avanti da giorni uno psicodramma. Lui posta ai suoi follower i comunicati del segretario, lasciando intedere: “Vedete andremo al voto”. E quelli lo attaccano “ditelo esplicitamente voto subito!”). E che il voto comunque non lo escluda nessuno lo si è capito anche dai tanti amministratori locali e parlamentari che hanno accompagnato il segretario alle feste della Lega a Orio Sopra (Bergamo) e Lezzeno (Como) negli ultimi giorni.
Salvini oscilla dunque come in balia di venti contrastanti. Da Capitano del popolo leghista si è fatto mediatore. “Faremo il bene dell’Italia”. Ognuno poi ci veda ciò che preferisce. Ma più si avvicina mercoledì più le formule di compromesso perdono la loro efficacia. Proprio per questo oggi pomeriggio, dopo aver incontrato associazioni e categorie, il segretario ha riunito per l’ennesima volta i dirigenti del partito, per poi incontrare questa a palazzo Montecitorio i gruppi parlamentari. Stavolta serve una linea vera: Draghi o voto? Si vederà. Intanto il segretario ha aperto la riunione fissando un punto: "Ho stima per Mario Draghi".
Di una cosa Salvini è certo: qualsiasi scelta sarà fatta insieme a Forza Italia. Dall’inizio della crisi il segretario leghista e Berlusconi si sono sentiti più volte, hanno concordato la linea. E se Salvini, che aveva in mano il pulsante per far deflagrare senza più rinvii l’esecutivo, ha optato per un atteggiamento responsabile parte del merito è proprio del Cav. Che intanto ieri è arrivato a Roma per seguire da vicino i prossimi sviluppi. D’altronde, come vaticina Matteo Renzi: “Salvini e Berlusconi si metteranno insieme, alle elezioni faranno una lista sola per competere con la Meloni e questo aprirà ulteriori spazi al centro”.
In Fratelli d’Italia sperano ancora che prevalga la linea dello strappo. Giorgia Meloni osserva a distanza in relativo silenzio. Sa benissimo che la spinta più forte che tiene Salvini incollato all’esecutivo arriva dai territori. Ed è questo a preoccuparla. Per due ragioni. La prima, la più scontata, è che Salvini non vuole trovarsi con un partito che si disintegra di fronte alla crisi, soprattutto lì dove governa. La seconda è che proprio quella spinta, come la lettera firmata da oltre mille sindaci, potrebbe contribuire a far cambiare idea a Draghi. La “Capa” alcuni giorni fa aveva dettato la linea: “Considererei molto grave se gli alleati si prestassero, addirittura in assenza di Mario Draghi, a portare avanti la legislatura”. La fine del centrodestra, o qualcosa del genere. Tutto puntato sulla coerenza del presidente del consiglio. “In quel caso non avrebbero più scuse”, dicevano in FdI. Ma se Draghi rimanesse a palazzo Chigi? “Non condivideremmo la scelta di Salvini, ma è chiaro che la decisione non avrebbe gli stessi effetti devastati su centrodestra”, ammette il capogruppo di Fratelli d’Italia Francesco Lollobrigida. Insomma il centrodestra sarebbe ancora in piedi.