(foto Ansa)

Perché ringraziare il Parlamento italiano, comunque finirà

Claudio Cerasa

Ha saputo arginare gli estremismi, ha prodotto grandi trasformazioni nei partiti e ha accompagnato l’Italia verso una stagione di compromessi esemplari. Qualunque sarà il destino di Draghi, questa legislatura non va demonizzata

Arrivati al punto in cui ci troviamo oggi, con un Draghi alla porta, con una crisi politica imminente, con una crisi economica incombente, con un conflitto a due passi dalle nostre case, verrebbe la voglia di osservare questo Parlamento con un certo disprezzo, con un certo sconcerto, e prepararsi a mandare al diavolo una classe dirigente incapace di proteggere un’eccellenza come Draghi dal triangolo delle Bermuda dell’instabilità politica. Verrebbe voglia perché è difficile non chiedersi come sia possibile non fare tutto il necessario per non privarsi di un governo rispettato e tutto sommato ben funzionante in una fase in cui ci sarebbe bisogno di tutto tranne che di incertezze e di discontinuità.

 

Verrebbe voglia di mandarli tutti al diavolo, quando si pensa a ciò che c’è in ballo oggi in Italia quando si parla di approvvigionamento energetico, quando si parla di delega fiscale, quando si parla di sostegno alla resistenza ucraina, quando si parla di misure contro la crisi, quando si parla di lotta all’inflazione, quando si pensa alla capacità dell’Italia, in una fase difficile come quella che viviamo oggi, di non buttare al macero operazioni importanti, come la cessione di Ita (big hello), come l’investimento di Intel (big hello), come la creazione della rete unica (ciaone). 

E invece, provando a contare fino a dieci, provando a resistere alla tentazione del vaffa, occorre riconoscere che comunque andrà a finire questa settimana, sia se le forze politiche troveranno un modo per ricompattarsi attorno a Draghi sia se invece le forze politiche dovessero rassegnarsi  a uno scenario capace di accelerare il passaggio verso le elezioni, le ragioni per ringraziare questo Parlamento, per quello che è successo in questi anni, sono superiori rispetto alle ragioni per cui questo Parlamento meriterebbe di essere mandato a quel paese.

Sì, è vero, mai nella storia della Repubblica l’Italia ha avuto un gruppo parlamentare con un tasso così alto di antieuropeismo, di estremismo, di populismo, di sovranismo, di nazionalismo, di complottismo, ma mai nella storia della Repubblica l’Italia ha potuto apprezzare da parte delle forze politiche più distanti dal principio di realtà delle trasformazioni così repentine come quelle registrate in questi anni. E’ successo quando il Parlamento, nonostante il dissenso interno, è riuscito a non bloccare la Tav, fra Torino e Lione.

E’ successo quando il Parlamento, nonostante il dissenso interno, è riuscito a non fare ostruzionismo rispetto all’implementazione della Tav. E’ successo quando il Parlamento, nonostante la retorica sulla democrazia diretta, ha scommesso sulla democrazia rappresentativa trasformando il Parlamento stesso in un argine contro il populismo. E’ successo quando, nonostante le distanze tra i partiti e nonostante i molti curricula no vax, il Parlamento ha trovato il modo di non dividersi eccessivamente durante la pandemia, quando in Aula sono arrivati i provvedimenti finalizzati a ristorare i settori più in difficoltà. E’ successo quando, nonostante l’alto tasso di giustizialismo, il Parlamento ha di fatto messo al tappeto il secondo governo Conte facendo emergere una maggioranza garantista pochi giorni prima della presentazione della famosa relazione sulla giustizia firmata dall’ex ministro Bonafede.

E’ successo poi quando il Parlamento più estremista della storia della Repubblica ha offerto a Mario Draghi una delle maggioranze più ampie della storia del nostro paese. E’ successo quando il Parlamento più antieuropeista della storia della Repubblica ha votato quasi all’unanimità un impegno della durata di sei anni dell’Italia con l’Europa (Pnrr) per mettere a terra un piano di riforme necessario da implementare per evitare di perdere cospicui finanziamenti dall’Europa.

 

E’ successo anche a marzo, quando le forze politiche, nonostante i distinguo, nonostante le distanze, hanno scelto, quasi all’unanimità, di sostenere l’invio delle armi all’Ucraina, perché potesse difendersi dall’invasore russo. Ed è successo in fondo anche durante il delicato passaggio del Quirinale: il Parlamento ha sì fatto un passo verso il draghicidio, respingendo la candidatura del capo del governo, ma ha comunque messo nelle salde mani di Sergio Mattarella il destino dell’Italia dei prossimi sette anni, e tanto basta per dire che il Parlamento più pazzo della storia nei momenti più delicati della storia recente dell’Italia ha fatto regolarmente un passo lontano dal burrone dell’irresponsabilità.

Non sappiamo se anche questa volta, mercoledì, le forze politiche riusciranno di nuovo a stupirci, ma anche se non dovesse accadere, il bilancio di questa legislatura, grazie alla guida salda, dal Colle, di Sergio Mattarella e grazie anche ad alcuni politici, come Matteo Renzi, che nelle fasi più delicate di questa legislatura sono riusciti a dare un contributo decisivo alla fuga dall’irresponsabilità, è positivo. Anche se insomma il governo Draghi dovesse finire, potremmo dire che in questi quattro anni e mezzo di legislatura l’Italia ha dato prova di essere in grado di fare quello che molti paesi che oggi in Europa si trovano a vivere una situazione molto italiana, con parlamenti instabili, maggioranze variabili, governi fragili, legislature deboli, non riescono a fare: smussare gli angoli, accorciare le distanze, costruire compromessi.

Nella stagione dell’instabilità, in cui i governi sono sostenuti da minoranze (Spagna), in cui i cancellieri sono sostenuti da maggioranze litigiose (Germania), in cui le legislature durano pochi anni (Austria), in cui i parlamenti cambiano continuamente guida (Inghilterra), in cui i capi di governo si trovano in ostaggio di parlamenti impazziti (Francia), l’Italia si presenta oggi, nonostante tutto, come un paese tutto sommato stabile. Non solo per tutti i magnifici vincoli che nel futuro impediranno di fare grosse pazzie a chi governerà anche dopo Draghi (vincoli con l’Europa, accordi con la Commissione, impegni con la Nato, contratti per le forniture di gas) ma anche per aver dimostrato di avere gli anticorpi giusti per trasformare quelli che sono stati a lungo punti di debolezza del paese (l’ingovernabilità e il trasformismo) in un punto di forza: la capacità cioè dello stato, delle istituzioni, persino delle burocrazie, di saper trasformare l’instabilità del Parlamento in un’opportunità straordinaria per limare gli estremismi del paese. Comunque andrà a finire la settimana di Draghi, di fronte a questo pazzo Parlamento ci sono molte ragioni per non premere il pulsante del vaffa.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.