Berlusconi sente Draghi. Le condizioni (in extremis) di Lega e FI per restare al governo
La telefonata tra il presidente del consiglio e il Cav. sblocca l'impasse. Il centrodestra di governo lo incontra a Palazzo Chigi, ma pone condizioni per l'appoggio. I governisti della Lega tremano: "Matteo vuole strappare"
Dopo più di sei ore di vertice a villa Grande con Matteo Salvini e i leader dei partiti centristi del centrodestra, arriva la chiamata che sblocca l’impasse. Silvio Berlusconi parla con Mario Draghi rompendo lo “sconcerto” che si era generato in mattinata in Lega e Fi per l’incontro tra il presidente del Consiglio e il segretario del Pd Enrico Letta. Poco dopo la delegazione che aveva banchettato nella villa sull’Appia antica, residenza romana del Cav., si è spostata a palazzo Chigi per dettare le condizioni di Lega e FI per rimanere al governo. Una sopra tutte le altre: i Cinque stelle, colpevoli della crisi nella comunicazione dei due partiti, devono rimanere fuori dall’esecutivo. Poi le altre, fatte filtrare senza avarizia ad agenzie e giornali già dai giorni scorsi: revisione del Reddito di cittadinanza per destinare risorse al taglio del cuneo fiscale, pace fiscale, con la rottamazione delle cartelle esattoriali pendenti, investimento sul nucleare di ultima generazione e un fermo contrasto all’immigrazione clandestina. A cui si aggiunge la richiesta leghista di un cambio al Viminale (via Luciana Lamorgese) e al ministero della Salute (adieu Roberto Speranza). Insomma, si alza la posta. L’incubo del centrodestra era quello di rimanere con il cerino in mano: trovarsi di fronte alle comunicazione del presidente (e al successivo voto di fiducia) senza aver ricevuto alcuna garanzia, e trovarsi costretti a votare la fiducia o a passare per coloro che hanno fatto saltare il banco. “E se anche i Cinque stelle votano la fiducia noi cosa facciamo?”, si chiedevano ieri i deputati leghisti consapevoli di uno stallo pericoloso.
La giornata era cominciata con un Salvini tornato in modalità Quirinale. Pronto ad ascoltare tutti. E se a gennaio citofonava a emeriti professori di Diritto nella speranza di diventare il kingmaker delle elezioni quirinalizie (non finì benissimo), questa volta, che non cerca un presidente ma una linea, quella della Lega sulla crisi di governo, si adopera in mille riunioni e riunioncine con categorie, parlamentari, sottosegretari, governatori. Serve avere un quadro generale. Qualche giorno fa lo chiese persino ai suoi follower sui social “Secondo voi adesso che succede?”.
Il suo ragionamento finale è stato questo: dopo la scissione del M5s, il Carroccio è la prima forza politica del Parlamento e deve avere nel governo il ruolo che le spetta. Insomma, un passo pericoloso, a rischio strappo. Tra i deputati della Lega che vorrebbero continuare con Mario Draghi si respira preoccupazione: “Matteo sta alzando la posta per strappare senza che sia colpa sua”. Di certo non è un caso che prima dell’incontro a Chigi, mentre il vertice di villa Grande si svolgeva, si moltiplicavano gli appelli dei governisti di entrambi i partiti. Per la Lega il governatore veneto Luca Zaia faceva sapere alle agenzie di aver chiesto di non dettare condizioni a Draghi. Mentre i ministri di Forza Italia imploravano di sostenere l’ex presidente della Bce “senza sé e senza ma”.
In Transatlantico un gruppo di leghisti con facce che non promettono soluzioni rifletteva sullo stallo. Che si dice a villa Grande? “Eh chi lo sa… decideremo per il bene del paese”, diceva Dario Galli, ex sottosegretario al Mise, scimmiottando il motto di vuota retorica che Salvini ha utilizzato in questi giorni per tenersi in equilibrio. Il gruppetto è formato da alcuni di coloro che preferirebbero il voto. Galli lo dice tra le righe: “Parlando sul serio: il bene del paese è tenere insieme un governo con tutto il suo contrario per otto mesi oppure fare la legge di bilancio e andare a votare?”. Proprio per questo: “Quel che è certo è che i Cinque stelle dovranno stare fuori”. Per paradosso la non scissione (almeno per ora) nel M5s ha reso tutto più complicato. Una soluzione la butta lì un deputato. “Se ci fosse l’appoggio esterno, potremmo comunque starci”.
Alla finestra c’è Giorgia Meloni che attende, consapevole che qualsiasi cosa accadrà Fratelli d’Italia ha solo da guadagnarne: se il governo va avanti crescerà nei sondaggi, se si vota, guiderà il centrodestra probabilmente vittorioso. Ieri alla Camera si vociferava anche di un breve incontro con Salvini. Trattativa pre-elettorale per convincere il segretario della Lega allo strappo? Dallo staff della leader di Fratelli d’Italia smentiscono categoricamente: “E’ pura fantasia”.