Il caso
Conte in un cul de sac. L'ultima tentazione M5s: appoggio esterno, via i ministri
Il capo dei grillini è tra due fuochi. Pressato da Letta ma anche di Di Battista. Contatti con Draghi. Senatori in rivolta contro il sì, ma teme la scissione di Crippa
“Se voto la fiducia perdo la base del M5s, oltre che i senatori. Ma se non voto la fiducia mi consegno all’opposizione, dove c’è già Giorgia Meloni, con l’accusa in più di essere un irresponsabile”. Giuseppe Conte domenica sera è stato ricoverato all’ospedale per un’intossicazione alimentare e una volta uscito dal Gemelli, sano e forte, è finito in un cul de sac. L’ex premier ha da una parte Alessandro Di Battista pronto – ma manca l’onere della prova – a soffiargli il partito se si piega. Dall’altra rischia di subire l’ennesima scissione, salutando anche l’alleanza con il Pd. Cerca segnali da Mario Draghi: oscilla, frigge. E non decide. O forse sì.
Fosse per Conte il M5s dovrebbe optare per l’appoggio esterno. L’emblema della mezza porzione. Un piede dentro e uno fuori. Via i ministri, ma sostegno al governo a seconda dei provvedimenti. Insomma, la celebre “quasità” contiana che ha contraddistinto il cammino politico dell’Avvocato del popolo diventato adesso del pueblo. “Domani Draghi ci entra dentro e ci fa a pezzi”, prevede Angelo Tofalo, ex sottosegretario alla Difesa che in queste ore di caos, giusto per divertirsi un po’, tira fuori anche la questione del terzo mandato.
Ma la faccenda è molto più complessa: Enrico Letta sta cercando fino all’ultimo di convincere “l’amico Giuseppe” a rientrare. Glielo ha detto lunedì sera per un’ora al telefono, lo ha spiegato anche a Mario Draghi ieri mattina quando ha varcato il portone di Palazzo Chigi. “Io le ho provate tutte”, dice il segretario del Pd a proposito dell’alleato basculante. Anche i dem sono spaccati, ma passa in secondo piano rispetto alle divisioni del M5s. C’è la filiera Thailandia (Andrea Orlando, Giuseppe Provenzano e ovviamente Goffredo Bettini) che pressa il segretario per far salire a bordo Conte. “Ha posto temi legati all’agenda sociale”, rimarca in diretta Zoom direttamente da Koh Samui, in Thailandia, il monaco dem durante il coordinamento del Pd, una sorta di gabinetto di guerra allargato a ministri, segretari, sindaci metropolitani e notabili. Per l’eterogenesi dei fini, insomma, il Pd lavora anche su Conte, spera che “rinsavisca” e che prenda in mano la situazione.
Allo stesso tempo Letta lavora, o almeno spera, che vada in porto anche l’ipotesi B. Anzi C. Come Crippa, Davide Crippa che continua a dire, in controtendenza con il contismo imperante, che “se Draghi dimostra segnali di apertura dobbiamo votargli la fiducia”. Il capogruppo del M5s alla Camera, di cui l’ex premier chiede le dimissioni insieme a tutto il direttivo, dice di avere una lista di deputati da mettere sul tavolo. Sono i responsabili governisti. Pronti a staccarsi dal M5s per dire sì al governo per evitare che la situazione precipiti. Dal punto di vista economico, per l’Italia, ma anche personale per tutti i peones costretti a salutare la fine anticipata della legislatura.
Luigi Di Maio, leader degli scissionisti, gioca con la pressione del suo ex partito. L’operazione Crippa, per il ministro degli Esteri, rimane quella più percorribile. Tanto che dalle parti di “Insieme per il futuro” rimarcano la “strumentalità” della “postura” grillina ad esempio sul Superbonus. “C’erano delle aperture da parte del governo, ma Conte le ha ignorate perché vuole trascinare tutti al voto”. Dalle parti del ministro degli Esteri si pressa e si pigia, sperando che il dentifricio grillino esca il più possibile dal tubetto. E questo forse non è il gioco di Enrico Letta, che prova a mediare, che prova a spiegare a Mario Draghi in mattinata che “una ricomposizione del quadro politico su tre argomenti forti è ancora possibile”. Il Pd ha in mente la gestione del Pnrr, l’agenda sociale e ovviamente la guerra in Ucraina. Ma Conte dov’è? “In riunione”, spiegano dal M5s, provocando un moto d’ilarità in chi ascolta. C’è un pezzo di partito rappresentato per esempio da Federico D’Incà, ministro per i Rapporti con il Parlamento, che è ancora “fiducioso”. Ma lo dice al Foglio alle 18, quando una lunga notte è ancora tutta da vivere. In Senato, i grillini non vogliono sentire scuse: è il giorno della verità, non possiamo piegarci. E questa è la linea di donna Paola Taverna dal Quarticciolo. La vicepresidente del Senato, che sogna l’addio a Draghi anche di notte, viene avvistata dalle parti di via della Scrofa, nei pressi del Senato, con una pattuglia di colleghi, compresa la ministra Fabiana Dadone. “Non molliamo”. E così si ritorna a Conte, costretto allo strappo. Nonostante Conte forse non lo voglia. In serata il contatto con Draghi.