Palazzo Chigi
Il Draghi bis si può fare. Il premier: "Ascoltiamo l'Aula". Salvini tratta
Il premier vuole capire se "la fiducia si è ricostruita". Il M5s non è un problema. Salvini adesso è protagonista e tratta un "cambio di agenda". Giorgetti: "Non sbagliamo come fece Baggio"
Dicono tutti che è finita ma lavorano tutti per continuare. La possibilità che Mario Draghi possa restare alla guida del governo è praticabile. Praticabile non equivale a certa. Anche la Lega si starebbe convincendo che il voto “non è il bene dell’Italia”. Salvini è per l’uscita. I governatori della Lega erano pronti a firmare gli appelli “pro Draghi”. Si sono fermati in rispetto del segretario. Ad Algeri, dove Draghi ha sottoscritto un accordo diplomatico importantissimo, il premier avrebbe detto: “Abbiamo fatto qualcosa di serio. Occorre sempre serietà”. Alle comunicazioni di Draghi seguirà un voto di fiducia. Draghi e Mattarella concordano che è dal dibattito in Aula che si capirà se la “fiducia è stata ricostruita”.
Dunque non è finito nulla ma è in queste ore che comincia. L’appuntamento che spaventa i parlamentari non riguarda tanto e solo le comunicazioni di Draghi alle Camere. Quello più pericoloso è il board Bce del giorno successivo quando si alzeranno i tassi di interesse e verranno divulgati i dettagli sullo scudo antispread. Da ex banchiere centrale Draghi può azzardare, si dice conoscere, le decisioni che verranno prese. Lo raccontano tranquillo, ma, come sempre, lo raccontano. Si precisa perché Draghi resterà sempre un rebus. Chi lo interpreta ed è autorizzato, dalla consuetudine antica oltre che dalla carica, dice “che la sua decisione l’ha presa. Deve essere la politica ora a decidere”.
Significa che ci deve essere un “vespro parlamentare”. E’ qualcosa che si augura anche il Quirinale che conosce le perplessità di Palazzo Chigi. Non è escluso che Draghi possa, nel corso della giornata, fare delle consultazioni con i leader e misurare la loro volontà. Ufficialmente in agenda non è previsto nulla. Draghi ha sempre confidato a Mattarella, che “non c’è solo la mancata fiducia del M5s ma anche la promessa di sfracelli della Lega che lo ha portato a dimettersi”.
Si presenterà domani al Senato perché, come spiegano i dotti del diritto parlamentare, è “la culla” dove è nato il governo. Si è tentato, e lo ha tentato il capogruppo del M5s (ma anche questo ormai non è un dato sicuro) Davide Crippa di far iniziare il dibattito dalla Camera dove sarebbe nata la frizione politica. Salvo che il premier non pronunci la parola “irrevocabili” si scommette su un discorso che possa rovesciare il tavolo. Si potrebbero individuare le condizioni per accompagnare a scadenza la legislatura. Draghi potrebbe insomma presentare un programma snello, per superare le urgenze. I partiti, a quel punto, facilmente, troverebbero le ragioni per continuare. Il Pd che è il più impegnato a conservare il governo accetterebbe di continuare con o senza Conte. E’ un partito in stato di liquefazione.
Dicono al governo che ormai cosa sia e chi sia “il M5s è solo una questione filosofica”. Le sorti del governo Draghi si giocano nel centrodestra e dalle parti di Salvini. Non ci sono solo i governatori a chiedergli di proseguire. Molti deputati sono rimasti sensibili alle richieste “inedite” da parte delle associazioni confindustriali. Ma c’è una novità. In molti, sempre nella Lega, credono che Giorgia Meloni sia sovrastimata e che alle elezioni si arrivi al pareggio. Costruire un governo richiederebbe, e si può virgolettare, “mesi. Non arriverebbe prima di dicembre se non oltre”. Il sogno di Salvini, se ce n’è uno, non è né il voto né il governo Draghi che continua. Sarebbe l’opposizione. Ma è irrealizzabile.
Questa volta in molti apprezzano la sua decisione di appoggiarsi a Silvio Berlusconi che continua a dire “Draghi bis senza il M5s”. Nella Lega si prega affinché Salvini non sbagli. Il leader tratta: vuole un cambio di linea del Viminale, quota 41 e lo stralcio delle cartelle esattoriali. Sono concessioni per poter dire al suo elettorato che la scelta governista ha portato dei risultati. Non ce ne sarebbe neppure bisogno dato che in questo governo la Lega ha ottenuto tantissimo. A causa di una comunicazione scadente la Lega questi risultati non li ha saputi valorizzare e appropriarsene.
Dai tempi supplementari, che è la metafora utilizzata da Giancarlo Giorgetti, si sta dunque per passare ai calci di rigore. In queste ore, e per esorcizzare, il ministro della Lega si riguarda il calcio fallito da Roberto Baggio ai Mondiali del 1994. Il più grande attaccante italiano perse il Mondiale. Nel 2006, Fabio Grosso, un difensore lo fece vincere. Sono sempre i due modelli che ha di fronte Salvini. Arrivare in finale e perdere come Baggio o stare in difesa e vincere come Grosso.