Le profezie del prof
Il Tremonti dell'occidente, gran guru del melonismo
L'ex ministro delle Finanze è famoso per la simpatica megalomania, la sua inarrivabile hauteur e l'arditezza che dispensa in attesa della prossima consulenza sulla fine del mondo
Famoso anche per le sue doti professionali di tributarista, ma propenso a considerarsi e a essere chiamato giurista, che è più autorevole e meno impegnativo, Giulio Tremonti si è via via specializzato in due campi contigui, pettegolezzo storico e filosofia dell’Apocalisse. Ha scritto molti libri e manifesti sullo Zeitgeist, variamente attendibili e abilmente profetici, molto ambiziosi, ricchi di intuizioni e di balle su un futuro che si vede bene perché è già passato, e per il resto dei rischi fatali, chissà. Veste benissimo, con tratto di compostezza arbasiniana, ma più sull’azzurro che sul grigio, e con tanto di pochette precontiana, e amministra la sua indiscutibile nordità con una lingua elegante e arrotata come la sua erre, trionfatrice anche nei salotti romani. Marco Ferrante lo seguiva qui incantato, da romanziere, e lo trovava giustamente pop quando con Vittorio Grilli e altri old boys faceva delle stanze di Quintino Sella una rigurgitante fucina di imitazioni e caricature della presunta burinaggine di Antonio Fazio, tomista di Arpino. Michele Masneri potrebbe ora rimettersi sulle sue piste, e troverebbe canditi per i suoi denti, se è vero che affacciandosi alla prospettiva, forse ritardata di qualche mese, di nuove e più alte responsabilità, come premier in stand by di Giorgia Meloni, Tremonti distribuisce la sua versione di Barney sulla nostra vicenda recente, e conclude che il whatever it takes salvatore o aggiustatore di Unione ed euro in realtà era un whatever mistakes (battuta pregevole), capace di riportare l’inflazione all’8 per cento.
Sfacciato è sfacciato, ma è impressionante la sua simpatica megalomania, la sua inarrivabile hauteur, la sua arditezza quando, nelle interviste preparatorie della ennesima risalita, distribuisce il suo giudizio storico-giuridico in un sententiarum liber in cui si naviga tra Oswald Spengler (Il Tremonti dell’occidente) e piccole vendette lombarde contro Mario Draghi e perfino Renato Brunetta, che comunque si dice sia più avanti di lui nella corsa al Nobel. Nasce alla politica come tecnico alla scuola fiscale e manovriera del grande Rino Formica, mette il socialismo archeologico alle proprie spalle e cresce come berlusconiano, poi bossista liberale e riformatore costituzionale sfortunato ma estremamente preciso nelle sue indicazioni, divampa come capo del Tesoro ai tempi del Cav., si qualifica come nemico asprigno di Bankitalia e della immangiabile spesa culturale, antesignano della mutualizzazione del debito; colleziona colpi e ne riceve, anche di bassi, anche di miserabili, e culmina come would be statesman nel focoso progetto di sfruttare la crisi finanziaria del 2011, e la famosa lettera della Bce, per sostituire whatever it takes Berlusconi a Palazzo Chigi, sbarrando la strada a qualunque ipotesi di rilancio economico, anche solo protettivo, perché non ci sono soldi e “sono tutti, i colleghi, ministri senza portafoglio”. Napolitano finge di credergli, lo usa per bloccare l’ultimo atto di reazione del governo Berlusconi, poi lo inganna benevolmente e al posto di una giravolta su un piede solo si inventa il solido e solito rilancio tecnico con Mario Monti. Che disdetta.
Il Trem sente che passeranno ancora anni in cui gli sarà richiesta la consulenza sulla fine del mondo, e intanto quello, ingrato, continuerà a girare secondo i propri capricci, non secondo i suoi, come puntualmente avviene quando dalle varie crisi della legislatura pazza si esce con la consacrazione di un arcinemico forte in politica, nell’accademia, nella gestione e prefigurazione non profetica, il gesuita e keynesiano di ferro Mario Draghi. Believe me, it is enough: è abbastanza, ne ho abbastanza, pensa Tremonti, e intanto si iscrive al rilancio della civilizzazione occidentale nell’esercito baldante di Giorgia, visto che l’entourage di Salvini e del vecchio Cav. da molto tempo gli riserva solo sentimenti emarginanti.
Ieri Tremonti ha detto a Libero, in una intervista con Francesco Specchia, che il governo Draghi è fallito per vanità degasperiana ancor prima di nascere, che non si vede l’ombra di riformismo e i soldi del Pnrr sono illusionismo, mentre quelli mai arrivati ma molto desiderati degli eurobond da lui richiesti gentilmente per tempo, quelli sì che avrebbero risolto i nostri problemi; ha aggiunto che Altiero Spinelli era un pasticcione, e che Maastricht è servito a completare la rete autostradale polacca con i soldi del meridione d’Italia; che l’ex governatore della Bce, e coautore con gli odiati Franco e Brunetta della lettera famosa del 2011, è un altro pasticcione, violatore di regole santissime sul bilancio con il Quantitative easing, che produce “finanza tossica” (un must del tremontismo) e generatore della leggenda aurea del salvataggio dell’euro, mentre il paese come diceva Brecht sarebbe beato se non avesse bisogno di eroi. Basterebbe lui. E noi ci apprestiamo a berla, l’ultima bevanda al succo d’uva distillata da quella simpatica faccia tosta.