le altre concessioni
Perché le decisioni del governo sulle autostrade sono uno stress test sullo stato di diritto
La gestione del Pnrr procede spedita ma sul piano autostradale le misure sono coerenti con l'interesse generale per cui è difficile giustificare altre disposizioni
Spinto dall’esigenza di rendere spedita la gestione del Pnrr, il piano nazionale di ripresa e resilienza, il governo, prima di entrare in crisi, ha adottato alcuni giorni fa il decreto legge n. 85 del 2022. Per accelerare i giudizi amministrativi riguardanti le opere finanziate con il Pnrr, ha stabilito termini più stringenti per la discussione del merito; ha richiesto ai giudici di tenere nel debito conto il rispetto dei termini previsti dal Pnrr. Sono misure straordinarie, ma coerenti con l’interesse generale che gli interventi finanziati dall’Unione europea con risorse straordinarie siano realizzati presto e bene. E’ difficile – invece – giustificare un’altra disposizione, in base alla quale il mancato svolgimento dell’udienza di merito entro i termini previsti fa perdere efficacia alla misura cautelare: non si comprende perché il privato debba subire un pregiudizio per l’inazione del giudice. E’ ancora più difficile giustificare altre disposizioni del decreto legge, con le quali il governo ha revocato le concessioni autostradali abruzzesi (A24 e A25). Esse pongono almeno tre problemi. Proprio la circostanza che nel decreto siano confluite regole generali, sul processo amministrativo e sulle concessioni autostradali, oltre che sulla gestione delle autostrade abruzzesi, solleva un primo problema. Infatti, la Costituzione impone precisi vincoli alla decretazione d’urgenza: ai requisiti di necessità e urgenza si aggiunge l’esigenza di organicità delle disposizioni. In altre parole, le disposizioni di un decreto legge non possono rispondere a finalità diverse, non univoche. Il secondo problema concerne il rispetto dello stato di diritto, uno dei valori su cui l’Ue si fonda.
Le concessioni autostradali sono rette da una serie di regole: esse precisano gli impegni assunti dalla parte pubblica e dalla parte privata e disciplinano le modalità con cui il rispetto di quegli impegni va accertato, mediante un procedimento articolato in più fasi (accertamenti, contestazioni, controdeduzioni, diffide), prima della decisione finale. Invece, il governo ha contestato l’inadempimento, ha ricevuto le controdeduzioni, ma, anziché replicare nel merito, è giunto subito alle conclusioni, con una serie di decreti ministeriali. Però, in uno stato di diritto una decisione è giusta – fair, come direbbero gli anglosassoni – soltanto se è presa al termine di un giusto procedimento (in questo caso la decisione è politica ed è giustificata, dicono fonti del governo, dal mancato e reiterato pagamento delle concessioni da parte dei beneficiari delle stesse). Il terzo problema deriva invece dalla scelta di dare ai decreti ministeriali una protezione aggiuntiva, con il decreto legge che si configura così come una legge che, anziché disporre per una serie indeterminata di soggetti, provvede nei confronti di un singolo operatore economico. E’ un modo di procedere assai discutibile, alla luce dei criteri stabiliti dalla giurisprudenza della Corte costituzionale. Lo ha confermato l’ordinanza con cui il Tar del Lazio, il 12 luglio, ha sospeso l’efficacia dei decreti impugnati dal concessionario. La giustizia, come si suole dire, farà il suo corso, speriamo in tempi brevi. Nel frattempo, restano sullo sfondo due domande più generali: la prima è se non fosse opportuno completare l’iter iniziato, anziché sterzare bruscamente, dando luogo al contenzioso; l’altra è se lo stato disponga davvero degli strumenti gestionali e del personale adatti per gestire in modo efficiente le due autostrade, che è ciò sta a cuore a tutti.