Le parole chiare di Draghi e la fuga silenziosa di Salvini
Taxi, balneari, pensioni e scostamento. Il premier chiede una fiducia piena e non di facciata sottoponendo al test di realtà il programma del leader della Lega, che in silenzio scappa dall’aula e dalle responsabilità
Più delle scelte, tutte politicamente legittime e per certi versi comprensibili, sono indicative le modalità. Esattamente come aveva fatto il M5s aprendo la crisi di governo, la Lega nega la fiducia a Mario Draghi non partecipando al voto. E proprio come Giuseppe Conte, che nel giorno decisivo avvolge con il silenzio l’indecisione del suo partito, il Capitano Matteo Salvini resta muto in Senato, lasciando la parola per la dichiarazione di voto al seminoto (o semisconosciuto) Candiani.
Un comportamento opposto a quello tenuto dal presidente del Consiglio che si è presentato in Parlamento per spiegare le regioni che l’hanno portato alle dimissioni e ha chiesto un voto di fiducia sulle sue parole, sul “nuovo patto” su cui l’azione del governo avrebbe potuto proseguire. È così che Draghi ha svelato la vera natura del centrodestra di governo a trazione leghista, che non è l’irresponsabilità del Salvini ebbro del Papeete ma la fuga dalle responsabilità del Salvini silenzioso e contumace. Draghi non ha chiesto una fiducia facile da concedere. Il premier avrebbe potuto essere conciliatorio con il M5s per ricucire lo strappo del 14 luglio, oppure fermo con i grillini e accomodante con la Lega per favorire una nuova maggioranza. Invece non ha concesso niente a nessuno ed è stato duro soprattutto con le istanze provenienti dalla destra, sebbene non sia stata la parte politica che ha prodotto la crisi.
Draghi ha puntato l’indice contro “i distinguo e le divisioni” degli ultimi mesi, ad esempio sulle riforme del catasto e delle concessioni balneari, che hanno mostrato un “progressivo sfarinamento” della maggioranza. Un atteggiamento che si è visto anche nei “tentativi di indebolire il sostegno del governo verso l’Ucraina”, riferendosi probabilmente all’improvvisata diplomazia parallela di Salvini con l’ambasciata russa. E, soprattutto, Draghi se l’è presa con “le richieste di ulteriore indebitamento che si sono fatte sempre più forti proprio quando maggiore era il bisogno di attenzione alla sostenibilità del debito”. Chiaro è il riferimento alle continue richieste, comuni al M5s, di “scostamento” che Salvini ha pochi giorni fa quantificato in almeno 50 miliardi. Numeri completamente fuori scala rispetto al contesto di rialzo dei tassi globali, ai margini di finanza pubblica e ai rischi di instabilità finanziaria per il paese.
Il premier ha anche indicato gli elementi su cui avrebbe dovuto fondarsi il nuovo patto di governo: “Concorrenza” per ridurre le rendite e favorire la crescita economica e occupazionale, attraverso la riforma dei servizi pubblici, “inclusi i taxi”, e le concessioni di beni e servizi, “comprese le concessioni balneari” (ancora). “C’è bisogno di un sostegno convinto all’azione dell’esecutivo, non di un sostegno a proteste non autorizzate e talvolta violente”, ha detto riferendosi alle proteste dei tassisti dei giorni scorsi a cui la Lega ha mostrato vicinanza. Anche sulle pensioni, tema molto caro alla Lega, Draghi ha detto che “c’è bisogno di una riforma che garantisca meccanismi di flessibilità in uscita in un impianto sostenibile, ancorato al sistema contributivo”: questo passaggio è una chiusura a Quota 41, il cavallo di battaglia di Salvini, con cui il premier ha ribadito che non si esce dalla logica della riforma Fornero.
Il premier, in coerenza con le dimissioni del 14 luglio e la conseguente necessità di chiarimento, ha fissato dei paletti precisi, non per ottenere una fiducia purchessia ma entro un perimetro ben definito. La consapevolezza di dover affrontare un autunno molto critico, in cui si dovranno prendere decisioni difficili, ha portato Draghi a chiedere una piena corresponsabilità alle forze politiche. E in questo modo ha fatto un test di realtà ai programmi della Lega. Ma di fronte alla realtà, Salvini ha preferito la fuga silenziosa dall’Aula e dalle responsabilità, verso la campagna elettorale.