Il bluff
Salvini cala la maschera. Sfida i governatori, si mangia FI e archivia l'epoca Draghi
Il segretario cercava la rottura, altro che trattativa con Draghi. La solitudine di Giancarlo Giorgetti e l'addio di Maria Stella Gelmini a Forza Italia
Dopo una giornata di fibrillazioni, di trattative avviate o millantate, la comunicazione dello strappo definitivo arriva nella maniera più fessa possibile. Matteo Salvini si sta rifocillando con Claudio Durigon e altri senatori leghisti alla buvette del Senato. E i cronisti, che da tutto il giorno cercano di capire che cosa farà, alla fine, la Lega sulla risoluzione Casini, quella su cui il presidente del Consiglio ha posto la questione di fiducia, non possono esimersi dalla domanda più scontata, ma più importante: “Segretario dunque non la votate?”. “Certo che non la votiamo”. Game over insomma. Nessun ripensamento all’ultimo, nessuna strambata improvvisa di Silvio Berlusconi per fermare la crisi, come qualcuno aveva sperato. La fine definitiva del governo di Mario Draghi, l’uomo più autorevole d’Italia, come hanno ammesso anche coloro che l’hanno di fatto sfiduciato, arriva così, tra una nocciolina e un aperitivo.
Ma sarà proprio così? Tra i leghisti più governisti c’è ancora chi spera: “Perché Draghi non è ancora andato al Quirinale?”. Ma sembrano più piccoli calcoli: la speranza in un governo di minoranza che posso andare avanti al massimo fino a febbraio. Con Draghi o senza di lui.
Comunque che Salvini volesse strappare lo si era capito già in mattinata, proprio al termine del discorso del presidente del Consiglio. Mentre Giancarlo Giorgetti, ministro dello Sviluppo economico e vicesegretario del Carroccio abbracciava Draghi come un fratello, Salvini, seguito da un codazzo di senatori, usciva dall’aula livido in faccia per i tre ceffoni che l’ex presidente della Bce gli aveva appena, retoricamente parlando, tirato in faccia. Tassisti, Putin e richieste pressanti e irragionevoli per lo scostamento di bilancio, le recriminazioni verso la Lega. Ma insomma, che le cose si mettevano male era nell’aria.
Al termine della riunione la solitudine di Giorgetti si palesava ancora più plasticamente. Il vicesegretario scendeva sconsolato e solo dopo la riunione con i senatori borbottando: “Per la mia linea è sempre più dura”. Poi dopo il vertice di villa Grande, la conferma definitiva. Il duro intervento del capogruppo Massimiliano Romeo in aula: “Lei ci ha chiesto un nuovo patto, ma un nuovo patto significa nuova maggioranza e nuovo governo”. Subito dopo, la risoluzione Calderoli sostanzia le parole del capogruppo leghista: “Il Senato accorda il sostegno all’azione di un governo profondamente rinnovato sia per le scelte politiche sia nella composizione”.
Nascono ipotesi? E se nascesse un governo rosso-verde-azzurro? “Senza Conte non hanno alibi”, sperava una volpe delle tattiche parlamentari come Bruno Tabacci. Ma se anche il Pd (che lo ha fatto), Draghi (che non lo ha escluso) e il M5s (complice) avessero aperto a questo scenario, i leghisti avevano già pronta, un’altra strada per lo strappo. Lo spiegava al Foglio il vicesegretario Andrea Crippa: “Ma il Pd può anche votare la nostra risoluzione, e Draghi aprire al governo senza 5 stelle, ma il presidente ci deve accontentare su tutte le discontinuità che chiediamo, compreso il cambio dei ministri”. Ipotesi irricevibili.
Insomma, in qualche modo si cercava la rottura, altro che trattativa con Draghi. Quando Salvini fa arrivare la velina che racconta “di continui contatti con Giorgia Meloni” si capisce che è proprio finita.
Nella Lega non mancano i mal di pancia. Ma i governatori, con Giorgetti i portavoce della parte governista, tacciono (il portavoce di Luca Zaia si è dimesso martedì), e anche tra i parlamentari contrari alla linea nessuno osa dire nulla
L’effetto invece colpisce subito Forza Italia. Ancor prima di presentare le dimissioni da ministro, Maria Stella Gelmini ha diramato alle agenzie un comunicato: “Ho ascoltato gli interventi di Forza Italia, apprendendo la volontà di non votare la fiducia al governo in un momento drammatico per la vita del Paese. Una forza politica europeista, atlantista, liberale e popolare oggi avrebbe scelto di stare, senza se e senza ma, dalla parte di Mario Draghi. FI ha invece definitivamente voltato le spalle agli italiani, e ha ceduto lo scettro a Matteo Salvini”. Gli altri due ministri forzisti, Mara Carfagna e Renato Brunetta, sarebbero pronti a seguirla.