Il ministro Gelmini spiega l'addio a Forza Italia. “Una destra senza programmi”
La “scelta scellerata” dettata dalla Lega e subita da Berlusconi. L’ambiguità sull’Ucraina e sullo schieramento atlantico di Salvini e Meloni. Un centrodestra che non governa insieme da dieci anni e che è rimasto a un'agenda vecchia e populista. Idee per il futuro? Avanti con l'Agenda Draghi. Parla la titolare agli Affari regionali
Non che voglia essere una domanda carogna, o che sia originale, ma è inevitabile chiedere a Mariastella Gelmini se lasciare Forza Italia dopo la “scelta scellerata” di mercoledì non sia un bel gesto fuori tempo massimo, e di un po’ di anni: da tempo il partito di Berlusconi è un contenitore vuoto. Risponde con puntiglio leale: “C’è una deriva sovranista e populista che da anni ho cercato di combattere, ho visto i valori fondanti conculcati, sommersi. Ma non si lascia un partito perché è in fase negativa. Chi come me non si è omologato ha provato a resistere. Ora è finita”. Ora si può solo dire che cosa non va, la destra populista che s’è mangiata FI, piegandola ad affondare Draghi.
Mariastella Gelmini, fino a due giorni fa ministro per gli Affari regionali e le Autonomie, tra le poche personalità politiche che nella storia di Forza Italia abbiano mantenuto un ruolo e un profilo politico riconoscibili, ha chiuso: “Per me l’adesione a un partito è una cosa seria, e quel partito non c’è più”. Tutto d’un tratto? “No, è un processo durato anni. Ma la scelta di inseguire la Lega nella corsa verso il voto, togliendo la fiducia al governo per calcoli elettorali, è fuori dal nostro Dna. E’ come se la ‘federazione’ voluta da Salvini, che magari non si farà mai, fosse già realtà. La scelta di non coinvolgere i ministri e i gruppi nella discussione, dimostra chi abbia veramente deciso. Anche in Forza Italia. Più che una federazione è stata un’annessione”. Non accade da oggi, però. “E’ iniziato molto prima: la verità è che Forza Italia e Lega hanno sempre sopportato, e non supportato, questo governo. Ma per Forza Italia è stato un errore clamoroso: perché l’agenda riformista, europeista, atlantista di Draghi è esattamente quella della storia di Forza Italia. E invece di intestarsi i successi dell’esecutivo, li hanno regalati al Pd. Sono stati traditi trent’anni di storia”. E l’Italia è senza più Draghi. “E’ stato fatto un danno enorme, in questi 17 mesi Draghi aveva fatto un ottimo lavoro, in linea con le nostre idee”.
Scelta politica andarsene, insomma, non “di tipo personale” come ha commentato Antonio Tajani. E nemmeno, per prima cosa, di ottica interna. Già due mesi fa Gelmini aveva avuto uno scontro pubblico e duro con Berlusconi, dopo le sue dichiarazioni sulla guerra in Ucraina che il ministro aveva giudicato “ambigue”. Colpisce che nelle dichiarazioni di questi giorni l’Ucraina, e dunque anche la collocazione internazionale dell’Italia, siano per l’ex ministro un tema cruciale. “Con la guerra la politica estera è tornata centrale per ogni paese. L’Italia col governo Draghi ha preso le posizioni giuste e necessarie. Mi chiedo se ci fossero stati – o se ci saranno in futuro – al governo Lega e Fratelli d’Italia se le sanzioni alla Russia o l’ok all’adesione di Finlandia e Svezia alla Nato sarebbero state approvate. La verità è che quando Draghi venne a comunicarci, con giusta soddisfazione, del processo di adesione, nessuno in Forza Italia azzardò un commento positivo. E quando si ventilò il famoso pellegrinaggio a Mosca di Salvini, nessuno in Forza Italia osò muovere una critica forte come invece sarebbe stato necessario”. Poi c’è la collocazione in Europa. “Un partito come Forza Italia non dovrebbe avere le posizioni di Salvini e Meloni. Prima con il ‘bazooka’ della Bce e poi durante il Covid l’Unione europea ha salvato l’Italia. Siamo stati il primo paese aiutato. Per due motivi: eravamo i più in difficoltà, e poi c’è stato il ‘fattore D’.
Essere contro questo, schierarsi contro il Pnrr, proporre solo lo sfondamento del debito può pensarlo solo chi ha deciso di voler essere sempre e solo opposizione, con la pancia della gente. Ma non chi governa. Fuori dalla Ue e dal Pnrr c’è il default. Il Pnrr è un contratto che vale 200 miliardi. Se domani fosse premier Meloni, che quel contratto non l’ha votato, come si sentirebbero i nostri partner che ci prestano 120 miliardi? Tranquilli?”. Europa, schieramento con le democrazie atlantiche, riforme da attuare. La strada che il Dna del partito di Berlusconi avrebbe dovuto scegliere al volo, senza tentennare, era chiara.
Il secondo problema, allora, è per Gelmini immaginare come potrebbero governare insieme, in futuro. “Lo dico con chiarezza. Il centrodestra non governa assieme da dieci anni. In dieci anni è cambiata l’Italia, la società. C’è stata la pandemia, la crisi, i cambiamenti climatici. Ma se guardiamo le agende opportunistiche dei due partiti sovranisti sono ferme all’inizio del secolo: immigrati, sicurezza, Europa matrigna; senza nemmeno pensare a quanto l’Europa sia cambiata. E su tutto il resto il centrodestra che farebbe? Sullo ius scholae? Il clima? La transizione energetica? La riforma delle pensioni? C’è un progetto, si è pensato di costruire un nuovo programma comune?”. Sembrerebbe di no. “Esatto, il centrodestra oggi ha i voti perché si fa guidare dalle piazze e non indica come guidare il paese. Non ha un programma per l’oggi e il domani. Ha slogan vecchi. Ma, se anche Forza Italia oggi entrasse in un governo con loro, chi sarebbe a fare le scelte? Mi chiedo come avremmo affrontato il Covid con un governo di centrodestra: sarebbero stati possibili green pass e vaccini obbligatori?”.
Lei è stata ministro, ha provato a rilanciare il tema dell’autonomia cara alla Lega dei territori. Lì al nord il centrodestra governa assieme, da molto tempo. “Con Zaia, con Fedriga, con Giorgetti ho trovato collaborazione, cultura di governo, attenzione all’economia. Mi pare che il loro silenzio in questi giorni dimostri il disagio per quanto è successo, ma anche che l’agenda del partito, e di un futuro governo, non è loro”. Lei è bresciana, conosce bene gli umori del mondo produttivo. “Sento un grande disappunto, grande preoccupazione. L’agenda delle riforme del governo era esattamente la loro. Essersi piegati all’agenda del populismo è una scelta scellerata che sarà pagata, e nelle urne per prima da Forza Italia”.
Il futuro politico? “Non è il mio che conta, davvero. Sono in politica da molto tempo, avrò modo di riflettere. Non c’è nessuna ‘ipotesi’ partitica, la mia scelta è stata fatta appena due giorni fa, e per i motivi che ho detto. Quello che invece è importante è che l’agenda Draghi, che è l’agenda del paese e di tutti i liberali e i riformisti – dunque lo sarebbe stata di Berlusconi, se non fosse stato succube di cattivi consiglieri e informazioni distorte – vada avanti. E che l’esperienza di quel governo, il modo di affrontare i problemi, l’autorevolezza acquistata nei contesti internazionali, non vadano perduti. Per questi fini valuterò come e se potrò dare una mano”.