La minoranza più influente del paese sosteneva Draghi
Il gruppo di elettori che rappresenta la fetta più dinamica del paese non è rappresentato da nessuna forza politica in Parlamento, e non può permettersi di sprecare il proprio voto
Al direttore - Gli eventi degli ultimi giorni han tolto di mezzo tre persistenti equivoci. Il partito di Berlusconi, in combutta con la Lega, lavora per Putin contro gli interessi nazionali; il partito di Conte è una banda d’innafidabili avventurieri allo sbando; il Pd è un partito di mediocri funzionari capaci solo di (mal) gestire il potere che la sorte loro concede. Mario Draghi, con la sua pragmatica capacità di riformare metodicamente perseguendo un disegno di modernizzazione del paese, dava fastidio a tutti costoro oltre che, ovviamente, ai fascisti ed ai comunisti che, almeno, gli votavano contro dal giorno uno.
Il suo abbandono lascia orfana una galassia di piccole organizzazioni politiche che proclamano di volerne raccogliere la bandiera: ottimo proposito che auspico si realizzi. Che Fare? Ovvero: chi, con che posizionamento e con che programma? Il programma non può essere altro che quello di rinnovamento nazionale tracciato da Draghi nel suo discorso d’investitura al Senato il 17 febbraio, 2021, con un’ovvia aggiunta. L’Italia è parte integrante della Nato ed il regime russo è nostro nemico, quindi l’Italia contribuirà alla difesa dell’Ucraina senza indugi ed al meglio delle sue risorse finanziarie e militari sino a quando l’aggressore russo non abbandonerà i suoi propositi imperiali.
Sul “chi” vorrei tornare, se possibile, in una prossima occasione ma la risposta telegrafica è semplice: chiunque ci stia a sottoscrivere esplicitamente il programma appena menzionato attraverso un confronto aperto e pubblico che avrebbe dovuto iniziare mesi fa. Senza snobismi, esclusioni a priori, ripicche e personalismi, esami del sangue. Con che posizionamento? Questo il punto cruciale: senza compiere l’eterno e fatale errore dell’area di centro, ovvero quello di mediare a priori rispetto alle posizioni ideologiche di uno, o entrambi, dei suoi avversari. Esiste una solida minoranza di italiani che disperatamente vuole vengano messe con forza sul tavolo le riforme che Mario Draghi aveva delineato all’inizio del suo governo.
Questa minoranza di elettori è andata crescendo, identificandosi ed anche omogeneizzandosi politicamente durante l’ultimo anno ed oggi non ha alcun partito che la rappresenti in modo convincente. Quante sono queste persone? Non lo so, ma azzardo un numero non del tutto campato in aria: 7-8 milioni. Buona parte delle quali non votavano o, se votavano, disperdevano stancamente il loro voto in uno dei gruppuscoli centristi o nelle componenti “moderate” dei due opposti populismi, ovvero Pd e FI. Questa minoranza chiede di essere rappresentata in Parlamento. Sic et simpliciter. La sua composizione sociale è particolare: una forte componente di giovani e di persone con livelli elevati di studio, che abitano nelle grandi città, che viaggiano e spesso anche lavorano all’estero, che ricevono redditi medio-alti e che si informano sui social, sulla stampa internazionale e specializzata. Probabilmente la fetta più dinamica dell’Italia che lavora e che non ha ancora accettato di essere un paese in declino, quella che più facilmente può andarsene quando il sistema politico non la rappresenta e che meno tempo ha da perdere in chiacchiere, mediazioni, talk show e scemenze assortite.
Questa gente, da decenni, attende solo una cosa: rappresentanza politica e fatti concreti. A questa minoranza non interessa votare una roba compromissoria e sentirsi sia liberale che socialista e magari anche un po’ sovranista, così per essere popolari, ovvero populisti. Questa minoranza, che sarà anche più piccola delle falangi populiste ma esiste ed ha un peso socio-economico alquanto rilevante, vuole qualcuno che la rappresenti per quello che è. In toto, chiaramente, esplicitamente, coerentemente. Questa minoranza moderata vuole un partito immoderato che affermi i propri obiettivi immoderatamente. Se ci sarà da trattare e fare compromessi lo si farà dopo, dopo aver dichiarato che in Parlamento ci si è andati per rappresentare un programma immoderato. Lo si farà solo per ottenere risultati concreti nel caso ci sia maniera di stare nella compagine di governo. I compromessi si fanno dopo, non prima delle elezioni. Prima si decide di rappresentare la propria constituency, non altri, non un’insalata russa di questo e di quello, insapore, incolore, inodore e succube degli opposti populismi. Perché, se annacqui il messaggio, questa base elettorale ti saluta e si occupa d’altro, non perde tempo a votarti. Il partito che deve risollevare la bandiera di Mario Draghi o sarà immoderato o non sarà. Per fare la politica del pongo c’è da sempre quella roba informe chiamata Pd.
L'editoriale dell'elefantino