Il colloquio

Prodi: "Conte si è suicidato: sembrava Bertinotti con me. Con Draghi cade un argine"

Simone Canettieri

L'ex premier e padre nobile dell'Ulivo: "Quando un leader motiva una scelta dicendo me lo chiede la mia gente è populismo. Senza l'ex banchiere a Palazzo Chigi sono preoccupato per l'Italia. L'accordo Pd-M5s? Non ci sono tempi per ricucire"

“Ragazzi, Conte si è suicidato, politicamente parlando. E poi  quando ha detto ‘la mia gente mi chiede di non votare la fiducia’ mi è sembrato di ascoltare di nuovo le parole che usò Fausto Bertinotti con me”. Segue la grassa e pacificata risata di Romano Prodi. Di chi ormai guarda agli incidenti passati della politica, diventati storia, con serenità e bonomia.

D’altronde, sono passati più di venti anni. “Ma motivare una scelta politica con la scusa della tua gente che lo chiede è  populismo. Ragazzi, non scherziamo”. E’ venerdì, Prodi sta riflettendo sul consueto  editoriale che uscirà domenica sul Messaggero.  Negli ultimi due giorni, il Professore è stato tempestato di telefonate. Tutti gli chiedono un commento, un’intervista, un’analisi economica, ma anche geopolitica, sulle conseguenze della fine del governo Draghi. Sicché parla qua e là con  amici e cronisti. L’ex presidente del Consiglio e padre dell’Ulivo è stato colto di sorpresa da quanto accaduto in Senato, mercoledì. Ne ha viste tante, ma questa no, non se la aspettava.  E’ rimasto colpito dall’atteggiamento di due protagonisti. Il primo è Giuseppe Conte,  con il quale si era creata una consuetudine telefonica ai tempi dell’esecutivo rossogiallo. Il secondo stupore porta a “Silvio Berlusconi”, vecchia conoscenza della casa. 

Il telefono di Prodi squilla in continuazione, mentre sta cercando di capire e ponderare “la reazione dell’Europa a quanto accaduto in Italia”. Gli verrebbe di chiamarla “vendetta”, ma poi preferisce usare la parola più consona. Intanto cerca di analizzare, nel merito, le ricadute delle ultime decisioni della Bce. A chi lo cerca, Prodi non dà risposte definitive perché è tutto molto prematuro, ma offre comunque scenari di facile comprensione.

Tipo questo: “Prima ci trovavamo in una situazione complicata, se non drammatica, ma avevamo dalla nostra l’autorevolezza di Mario Draghi. Un argine. Un nome da mettere sul tavolo, riconosciuto in tutto il mondo, quando c’erano da prendere o da orientare delle decisioni. Adesso, invece, abbiamo una situazione complicata, se non drammatica, ma non c’è più Draghi. Ecco la differenza è tutta qui”. 


Prodi rimane comunque, nonostante la ritrosia, il padre nobile del centrosinistra. Quando gli ex colleghi e gli amici del Pd glielo fanno notare lui di solito risponde con una battuta: “Sì, padre nobile decaduto”. E ride. Sembra di vederlo. E però c’è un mondo dem che a lui ancora si rivolge, lo consulta, si fa rincuorare sulle scelte da prendere. Una su tutte: caro Professore, è giusto mollare per sempre l’alleanza con il M5s oppure l’arte della politica riuscirà a riparare tutto con una grande piroetta? E qui nella testa di Prodi ronzano ragionamenti come sempre lineari: “Non c’è il tempo di una ricucitura fra Pd e M5s. Ormai l’Italia è in campagna elettorale, manca dunque una valvola di decompressione. Sarebbero serviti mesi e mesi per far maturare e metabolizzare questo strappo. Invece, ragazzi, si vota il 25 settembre. Ma di cosa parliamo, su! Il treno è già partito. La politica si dividerà sull’agenda Draghi, credo. E non ci sarà lo spazio di particolari ripensamenti. Poi certo tutto può accadere, ma insomma”. 

Come rivelò il Foglio, durante il governo con il Pd Conte iniziò a chiamare e cercare molto spesso Prodi. Anzi, pare che il Professore in qualche modo avesse anche spinto questa alleanza, di sicuro non si mise di traverso. L’Avvocato del popolo lo cercava per consulti sulla politica estera: dalla Cina all’Africa, senza dimenticare i temi europei. Si era creato insomma un rapporto. Tanto che Conte, nelle sue mille mutazioni prima di diventare capo della banda grillina, si mise anche in testa di essere il federatore del nuovo Ulivo, il nuovo Prodi. Una suggestione che prese forza, salvo sgonfiarsi, quando l’allora premier si presentò ad Avellino alla commemorazione del centenario della nascita di Fiorentino Sullo, storico esponente della sinistra Dc, era l’autunno del 2019. Un’èra geologica fa. Adesso il vero Prodi quasi si mette a ridere davanti a questi paragoni. E a chi gli nomina il capo del M5s risponde con un lapidario “mi spiace per lui perché si è suicidato”. La scelta di mercoledì scorsa in Senato, la scusa della gente che me lo chiede, è una pulsione “populista”. E cioè di pancia, incontrollabile, non calcolata. Senza pensare cioè alla minima conseguenza di questo gesto così dirompente. Ecco, ma nella testa di Prodi cos’è il populismo? “Semplice: è come il sesso fra adolescenti. Irrefrenabile”.
     

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.