chi per il dopo Draghi?
Ci sono già otto candidati premier per elezioni che non prevedono candidati premier
La campagna elettorale per ora è piena di candidati presidenti del Consiglio, di destra e di sinistra, che spuntano come funghi alle prime piogge Il problema è che ancora non ci sono le coalizioni né i programmi
Non ci sono programmi di governo, non si sa se, per esempio, Lega e Fratelli d'Italia vogliono ancora uscire dall’euro o se il Pd è favorevole o contrario ai rigassificatori di quell’agenda Draghi che pure rivendica di aver ereditato, insomma non si capisce niente, ma in compenso i candidati presidenti del Consiglio di destra e di sinistra spuntano come funghi alle prime piogge (assai attese per la verità) d’agosto. Così l’impressione è quella di essere giunti alle frontiere del Cottolengo, o in una specie di affollatissimo porto di mare, fate voi. Con la gente che vaga per i corridoi della clinica, o nei bagni, e urla cose apparentemente prive di senso, tipo Carlo Calenda (6 per cento nei sondaggi) che fa sapere al centrosinistra intero che “sono disponibile a correre da premier”, mentre Enrico Letta (23 per cento nei sondaggi) gli risponde che anche lui è pronto, ma “a fare il front runner” di una coalizione che non si capisce ancora da chi sarebbe composta. E Letta non dice “premier” soltanto perché forse si ricorda che prima bisogna soprattutto riuscire a vincerle, le elezioni, e che l’ultima volta il presidente del Consiglio (Conte) lo si dovette andare a scovare in un buco oscuro a Volturara Appula. Dopo il voto. In un paese, l’Italia, che d’altra parte secondo regole costituzionali abbastanza note a tutti (e persino secondo la legge elettorale) non prevede né front runner né candidati premier né capi coalizione né tanto meno elezione diretta del presidente del Consiglio. Quindi? Boh.
Eppure oggi è proprio su questo che si accapiglieranno anche Matteo Salvini e Giorgia Meloni, collegi uninominali (comprensibile) e leader della coalizione (un po’ meno). Chi fa cosa? “Chi prende più voti fa il capo del governo”, dice lei. “Chi ha più voti ‘designa’ il capo del governo”, precisa lui, ma con l’aria di un leone ammalato davanti al quale passano senza più nessuna paura anche i conigli. E poi ovviamente c’è Berlusconi. Ecco. Lui i sogni non li fa mica per conto suo: Silvio sogna in cinemascope. E le visioni che il suo cervello accumula di notte le distribuisce a piene mani durante il giorno come i confetti di nozze. Dunque il Cav. ha già messo in chiaro come stanno le cose per l’approdo a Palazzo Chigi: “Prevalgo io per intelligenza, competenza ed esperienza”. Appunto. Ma non finisce mica qua. C’è pure Antonio Tajani nella partita, lui che da vecchio cronista si ricorda di quel detto sulla smentita che altro non è se non una notizia data due volte: “Il Ppe mi candida premier? Non lo so, non sono candidato a nulla”. Eccolo.
Insomma in queste elezioni in cui non si sa nemmeno se chi vince avrà i numeri per governare, in questo voto con una legge elettorale che fu disegnata proprio per non avere un vincitore certo, in questa campagna elettorale improvvisata e balneare, tra promesse bislacche e zero contenuti, ecco che l’autocandidatura a un incarico per il quale non ci si candida va senz’altro osservata con la stessa curiosità che si deve alle cose bizzarre, tipo l’uomo che scambiò sua moglie per un cappello: un caso per il neurologo Oliver Sacks. O forse si tratta, chissà, di una forma d’arte contemporanea vagamente situazionista in cui la situazione diventa opera d’arte in sé. Un esercizio consapevole. Mi candido a un incarico che non esiste per fare una cosa che so non farò mai. Non a caso Meloni, mentre promuove se stessa, candida pure Giulio Tremonti, proprio come Letta fa aleggiare Paolo Gentiloni. Il conto è presto fatto: ci sono già otto candidati premier. Ed è solo il 27 luglio.