"La destra si batte su ambiente e diritti”, parla Bonaccini
Il giusto no al M5s, il veto sbagliato a Renzi e le idee anti Meloni (il fascismo no, non c’entra). L'intervista al governatore dell'Emilia-Romagna
“Non ho paura di Giorgia Meloni”, esordisce così al Foglio il presidente dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini che di amministrazione se ne intende, di campagne elettorali (vinte) pure, e in questa conversazione estiva si sofferma su cose romanissime, il “draghicidio”, le coalizioni future e le pressanti urgenze di famiglie e imprese.
Presidente, lei calzerebbe a pennello gli abiti del leader di un nuovo centrosinistra: si sente o no di avere “occhi di tigre”? “Credo che Enrico, con quell’immagine, intendesse rivolgersi agli avversari: non pensiate che noi si corra solo per partecipare. Enrico fa bene a credere nella vittoria”. Non mi ha risposto sul futuro congresso del Pd, in molti guardano a lei. “Ma un segretario lo abbiamo – si schermisce Bonaccini – Si chiama Enrico Letta, abbiamo tutti il dovere di dare una mano per il meglio possibile”. Ah, ecco. Tornando a Meloni, lei diceva: non ho paura. “La destra non mi fa paura, la destra si può battere. Non perché fascista, ma perché su ambiente, diritti, lavoro e sanità pubblica hanno idee regressive. Questa destra ha in mente un’Italia ripiegata su se stessa, chiusa, egoista. Io voglio invece un paese più aperto, moderno, giusto. Non incarnano una destra liberale ma sovranista. Meloni ha tifato o tifa per Trump, Orbán, Le Pen, Bolsonaro. Ciò detto, Giorgia Meloni è un’avversaria, non una nemica”.
In realtà, il Pd ha già agitato lo spauracchio della destra “neofascista”. “L’antifascismo non può essere messo in discussione, Meloni abbandoni ogni vittimismo, ma qui il vero rischio si annida in quanti hanno lisciato il pelo ai No vax assumendo posizioni antiscientifiche nel pieno della pandemia. Vedo un rischio nel sostegno al fronte sovranista in Europa che volta le spalle sui migranti o si oppone al Recovery fund per l’Italia; vedo il rischio nelle posizioni medievali in materia di fine vita, unioni civili o diritto di cittadinanza per i bambini che vanno a scuola coi nostri figli. Più che degli altri, però, parlerei di noi e di ciò che proponiamo all’Italia”.
Sul “campo largo” o “aperto” di Letta si fa un po’ di ironia, qualcuno lo ha accostato a un “campo santo” o a un “campo profughi”. Come si fa a evitare che somigli all’Unione di Romano Prodi? “Serve un progetto autenticamente progressista e riformista, non una sommatoria di liste per battere la destra. Vogliamo vincere per governare e realizzare cose importanti per l’Italia. La destra sovranista si batte così, non agitando spauracchi né alleandosi con tutti per poi dividersi il giorno dopo in Parlamento. Per me il perimetro dell’alleanza nasce da una comune assunzione di responsabilità per il bene del paese, non contro qualcuno o qualcosa”.
Il leader di Azione Carlo Calenda farà parte del campo largo, non sembra invece gradito Matteo Renzi che le ha rivolto un endorsement importante come futuro premier... “Non sono abituato a lavorare di ipotesi e congetture future. Il mio posto, adesso, è in Emilia-Romagna. Quanto al campo largo, io dico che chi pone veti lotta per avere un punto percentuale in più, non certo per vincere, dimostrando di non aver compreso la posta in gioco. Io non ho mai posto veti su nessuno, neanche su Giuseppe Conte: ho detto però per tempo che sottrarsi all’impegno, assunto con il presidente Sergio Mattarella e con gli italiani, di sostenere un governo con senso di responsabilità significava dare due letture opposte del bene del paese. E con chi la pensa all’opposto sull’interesse nazionale, non si possono costruire alleanze per il paese. In Emilia-Romagna guido una coalizione ampia che va da Azione ai Verdi, da Articolo 1 a Italia viva, passando per il Pd e tanto civismo. E’ la dimostrazione che questo polo riformista e progressista può stare bene insieme, non avendo mai sperimentato un solo giorno di crisi”.
Insomma, lei è riuscito a prendere i voti dei grillini senza i grillini. “Se io ci sono riuscito, vuol dire che si può fare”. Ma per i suoi il leader del M5s Conte è stato a lungo un “fortissimo punto di riferimento dei progressisti”, cit. Nicola Zingaretti. “Io posso rispondere delle mie parole e delle mie idee. In Emilia-Romagna abbiamo vinto e governiamo senza i grillini. Ai cittadini abbiamo proposto un programma concreto e innovativo che tiene insieme lavoro e ambiente, con una importante componente civica e molti candidati nuovi e credibili. Serve rinnovamento, anche nel personale politico”.
A proposito di rinnovamento, proprio Zingaretti vorrebbe dimettersi per candidarsi in Parlamento e, come lei sa, c’è un gran brigare attorno al limite dei tre mandati, previsto dallo statuto Pd. Pioveranno molte deroghe? “Mi auguro che non sia così. Abbiamo la necessità di presentare una squadra rinnovata, con massima capacità di raccogliere consenso nei territori, con caratteristiche di radicamento e specifiche competenze. Se di fronte a una sfida di tale portata ci facciamo trovare distratti e preoccupati nel comporre alchimie tra correnti rischiamo di non essere prevedibili, perché preoccupati dei nostri destini individuali piuttosto che di quello del paese”.
E Zingaretti? “Nicola è al termine del suo secondo mandato in regione. Ha sempre vinto ogni competizione guadagnando dunque sul campo una eventuale candidatura. Ma più in generale, ai nostri dirigenti dico: chi si candida si metta in gioco fino in fondo, rischiando anche qualcosa, dando il senso che l’obiettivo collettivo è più importante del successo personale. In Emilia-Romagna io ho fatto così”.
Facciamo un gioco: quali sarebbero le priorità di un esecutivo a guida Bonaccini? “In cima alla lista indicherei un grande investimento per la sanità pubblica e per il territorio: il Pnrr va in questa direzione e il nostro compito è spingere al massimo per formare più medici e infermieri, perché il diritto alla salute, come quello alla scuola, deve essere garantito a tutti, senza distinzione tra ricchi e poveri. E poi serve un intervento sui redditi: dobbiamo prevedere un salario minimo e lasciare più soldi in busta paga a chi sta pagando il prezzo più alto all’inflazione”.
Il M5s ha aperto la crisi per contrastare la realizzazione di un termovalorizzatore a Roma mentre lei, da commissario straordinario, ha saputo creare un vasto consenso attorno al rigassificatore Snam di Ravenna, e ha espresso la disponibilità ad accoglierne un secondo, in caso di impasse a Piombino... “C’è chi fa saltare un governo per un termovalorizzatore e pretende poi che altri smaltiscano la spazzatura prodotta in quel territorio. Noi porteremo la raccolta differenziata all’80 per cento, e già oggi conferiamo in discarica solo il 2 per cento dei rifiuti. Posso dirle che siamo orgogliosi di realizzare un grande rigassificatore al servizio dell’Italia, con il consenso degli amministratori locali, di sindacati e imprese, e siamo anche la regione che realizzerà il più vasto parco eolico e fotovoltaico a mare”.
Lei guida la terra della Motor Valley: difendere le auto a combustione interna contro i diktat europei che fissano il phasing out del motore endotermico al 2035 è di sinistra o di destra? “Noi rispettiamo le leggi e le regole, e quando ci sembrano sbagliate cerchiamo di cambiarle o di farle cambiare. La transizione ecologica non può aspettare: e se le imprese della Motor Valley hanno avuto una ragionevole deroga è altrettanto vero che ci siamo messi più avanti del resto del paese e d’Europa in tema di discariche. Con tutte le rappresentanze economiche e sociali, da Confindustria a Legambiente, abbiamo siglato il Patto per il lavoro e per il clima: l’esatto opposto dell’ambientalismo dei no e da salotto, ma anche del negazionismo tipico della destra che sull’ambiente è rimasta ferma al Novecento”.
Ridurre l’imposizione fiscale a carico delle aziende è di sinistra? “Lo è ridurre le tasse a chi lavora e a chi crea lavoro investendo”. Se la Lega è diventato il partito più votato dagli operai, il Pd si è rinchiuso nelle Ztl? “Io posso parlare per l’Emilia-Romagna. Qui, dopo la vittoria alle regionali del 2020, dopo nove regioni su nove stravinte da Matteo Salvini e dalla Lega (merito loro), abbiamo fatto l’en plein nelle successive tornate amministrative, a partire dai cinque capoluoghi andati alle urne, anche a Piacenza dove sembrava impossibile, e a Parma dove non accadeva da un quarto di secolo. Un partito delle Ztl non ottiene questi risultati. Serve però parlare con le persone, ascoltarle, andare lì dove vivono, lavorano, studiano. E uscire dalle alchimie politiche e dai discorsi astratti”.