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indagine

Taxi driver all'italiana. Il caos di una categoria

Stefano Cingolani

Nella "querelle des taxis", oltre la giungla dei privilegi per le licenze e le responsabilità della politica e di un sistema pubblico che non funziona. Un accordo con le piattaforme è possibile

Guai a te se nel pezzo citi il tassista. Quando quelli come me cominciavano a fare questo mestiere si sentivano ripetere dal capo redattore questo precetto, anzi più che un precetto, un imperativo categorico. La tentazione resta forte e spesso ci sono cadute fior di penne vagabonde. Ma come si fa a non citare i tassisti parlando proprio di loro? I giornali sono pieni di dichiarazioni, di slogan, di aneddoti, di sfottò persino. C’è la ginnasta Carlotta Ferlito, diventata influencer su TikTok, che denuncia il tassista senza pos il quale non prende la carta di credito e la fa scendere: “Nun me fa’ perde’ tempo”. A quanti è capitato a Roma come in varie altre parti dell’Italia e del mondo? Siamo stati vilipesi perché noi rispettavamo la fila e loro prendevano chi volevano alla stazione o all’aeroporto: altro che prima gli italiani, prima gli stranieri così li faccio pagare a tassametro senza dire che c’è la tariffa fissa. A un amico è successo lo stesso a Stoccolma, sì proprio, la capitale della Svezia dove il servizio è estremamente competitivo e i tassisti aspettano accanto alle pensiline come venditori ambulanti nel suk.

 

Vieni da me che ti faccio lo sconto, no io sono meglio, la mia macchina è pulita. E’ vero che accettano la carta di credito, del resto ormai lassù nessuno usa più i contanti nemmeno per un caffè, però bisogna stare in guardia. Insomma, chi per lavoro o per diletto deve piegarsi alle forche caudine delle auto pubbliche ne ha davvero tante da raccontare. Ma mai come in questo periodo i tassisti sono diventati lo spartiacque tra le corporazioni e la modernità, il monopolio e il mercato, l’abuso e la norma, l’arrogante privilegio e il diritto delle genti. In Italia più che altrove, persino più che in Francia, la “querelle des taxis” è diventata una “querelle des anciens et des modernes”. Eppure antichi e moderni non si identificano con i due campi avversi. E qui la chiacchierata con il tassista diventa obbligatoria, anche perché apre una finestra e fa entrare aria fresca nella stanza dei bottoni dove da quasi vent’anni ci si accapiglia sugli stessi problemi senza mai risolverli: i taxi sono stati stralciati dalla legge sulla concorrenza, non domati. 

 

“E’ libero?”. “Salga pure”. L’autista chiude il libro che stava leggendo e indossa la mascherina. La Toyota ibrida è bianco candida, praticamente nuova, l’interno immacolato emana un profumo da Arbre Magique, ma non troppo, molto discreto come tutto il resto. Il tassista è giovane, ha una voce calma e un tono gioviale. Non conosco il suo nome, non gliel’ho chiesto, ma ricordo bene il percorso dal Colosseo alla Salaria, uno dei più affollati e accidentati della capitale. Potrà avere poco più di vent’anni. Gli do l’indirizzo e poi ficco il naso. “Ho visto che stava leggendo…”. “In realtà stavo studiando per l’università”. Che facoltà? “Botanica”. “Vuol fare il ricercatore?”. “Non proprio. Io sono appassionato di piante e fiori, più agraria che botanica, ma mi devo preparare bene. Ho lavorato nei vivai, ho allestito giardini, ormai s’è fermato tutto”. “Così ha ripiegato sul taxi”. “Più che un ripiego lo considero il mio lavoro almeno finché non avrò la laurea e i soldi per dedicarmi alla mia passione”. “E come è arrivato a fare il tassista?”. “Ho tutti i requisiti richiesti, ho seguito tutti i corsi previsti, la licenza me l’ha passata mio padre che aveva approfittato dell’apertura del sindaco Veltroni nel 2007”. “E’ uno dei pochi fortunati, Veltroni poi s’è giocato il secondo mandato”. “Aprire il mercato delle licenze ha aiutato me come tanti altri ragazzi”. “Lei è una mosca bianca”. Il mio autista non è d’accordo, dice che c’è una frattura nella categoria tra vecchi e giovani, così come tra chi si tiene stretta la licenza e chi la cede a qualcun altro che poi a sua volta la rivende con un buon margine di guadagno. “Questo è un mondo difficile, ma io penso a lavorare e a studiare”. E a tenersi il più lontano possibile dagli energumeni che mettono a soqquadro il centro di Roma o dai manifestanti che a Milano innalzano cartelli minacciosi: “Ora e sempre nemici di Draghi”. Lontano dalle manipolazioni elettorali e dalle contrapposizioni strumentali tanto da far pensare che allora è possibile, si può trovare una soluzione razionale.

 

Entrando nel favoloso mondo dei tassì scopriamo cose che noi clienti difficilmente riusciamo a immaginare. Il nome deriva dal Taxameter, inventato da Friedrich Wilhelm Gustav Bruhn in Germania nel 1891. La prima vettura con un tassametro funzionante fu introdotta sei anni dopo da Gottlieb Daimler, si chiamava Daimler Victoria. In Italia si diceva auto pubblica poi tassì derivato dal francese taxi a sua volta abbreviazione di taximètre. In molti paesi la ricevuta di pagamento che esce dalla macchinetta fa testo, per il fisco, per le aziende o per i singoli passeggeri che vogliono scaricarla tra le spese. In Italia no, anzi bisogna chiedere espressamente una ricevuta la quale consiste, però, in un foglietto con uno scarabocchio a mo’ di firma. Indicazioni del percorso? Se c’è tempo e voglia. 

 

Nessuno sa di preciso quanti siano i tassisti in Italia anche per via della trasmissibilità della licenza o di compravendite che sfuggono ai controlli. Secondo alcune stime si parla di circa 40 mila autorizzazioni attive. Recenti inchieste hanno rivelato che il costo medio si aggira sui 180 mila euro. Nel 2011 a Firenze, la Guardia di finanza ha scoperto che una licenza acquistata ufficialmente per 800 euro era stata pagata in realtà 200 mila euro. Il prezzo rientra nella trattativa privata tra le parti ed è legata al bacino di utenza della città di riferimento. Sono i comuni a gestire la procedura di rilascio che prevede un concorso pubblico organizzato sulla base del regolamento definito dalla regione. Ferma restando una base standard, ciascun ente può fare a modo suo. Discrezionalità che può coprire succulente eccezioni. Per partecipare occorre aver compiuto 21 anni; essere cittadino italiano o di un paese Ue; aver completato l’obbligo scolastico ed essere in possesso della patente categoria B; bisogna partecipare a un corso di due mesi in una scuola guida per ottenere l’abilitazione alla professione rilasciata dalla Motorizzazione civile; va superato anche un esame scritto e uno orale prima di iscriversi al ruolo di conducente pubblico alla Camera di commercio.

 

Tutti i costi legati al mantenimento del veicolo sono a carico del tassista. La licenza è strettamente personale. Significa che nessun guidatore, al di fuori della persona a cui è intestata, può mettersi al volante di un veicolo per il trasporto passeggeri. In pratica non è contemplato il servizio in sostituzione del titolare se non in casi eccezionali e documentabili. L’autorizzazione può essere venduta, ma solo dopo cinque anni. I ricavi da cessione per tassì e Ncc sono esenti da imposte dirette “in quanto la licenza per l’esercizio del servizio pubblico non è un bene relativo all’impresa, né un bene immateriale nella piena disponibilità del tassista; essa appartiene al comune che l’ha rilasciata e solo in presenza di specifiche situazioni è possibile trasferirla ad un terzo. Pertanto, in assenza di un diretto legame con l’impresa, il provento della cessione non può essere qualificato né plusvalenza, né ricavo, né sopravvenienza attiva”. Così dice la legge. Nella giungla delle licenze bisogna usare il machete, ma prima occorre capire  che cosa e quanto disboscare. Cominciando proprio dal tassametro.

 

Non è chiaro nemmeno quante sono le auto Ncc (Noleggio con conducente), nemmeno quelle che seguono le loro regole. Secondo uno studio effettuato presso la Camera di commercio romana e il Registro imprese nazionale, le imprese registrate sono 10.699. Le autovetture immatricolate dalla Motorizzazione risulterebbero 22 mila, quindi quando si denuncia che 80 mila famiglie posso finire sul lastrico si presuppone che ci siano 69.301 autisti “fantasma” o meglio che operano al di fuori di ogni controllo. E’ stata prevista l’istituzione di un registro elettronico nazionale di taxi e Ncc, ma non è mai partito. Sembra che mettere insieme i dati di tutte le licenze e le autorizzazioni sia ai confini dell’umanamente possibile. 

 

Sia Pierluigi Bersani nel 2006 sia Mario Monti nel 2012 tentarono di aumentare l’offerta con scarso successo. Alcuni studi internazionali stimano che il mercato italiano di taxi e Ncc valga in tutto 1,3 miliardi di euro, lo 0,7 per cento del pil contro l’1,3 della Germania, l’1,4 della Francia, l’1,8 dei Paesi Bassi, il 3,5 del Regno Unito. Il mercato del trasporto pubblico non di linea vale quindi in Europa mediamente da due a cinque volte quello che vale in Italia. Secondo la Cgia di Mestre, i costi di gestione dei taxi italiani sono i più elevati tra i grandi paesi dell’Unione europea: il gasolio costa quasi il 16 per cento in più, le tasse sono superiori di 3 punti, l’assicurazione costa addirittura il 58 per cento in più.

 

Meno concorsi pubblici, meno licenze rilasciate ufficialmente, più frequenti sono i passaggi di mano. Anche questo mercato è segnato dalla scarsità. Come nella moneta, c’è la quantità e c’è la velocità di circolazione. Se un comune decide di allargare le maglie e concedere più licenze, ecco che scatta uno dei princìpi del monopolio: l’ostacolo all’ingresso. E nel caso dei tassisti si tratta di ostacoli pesanti che hanno un valore politico, non solo economico. Proteste, manifestazioni, assalti alle istituzioni, scontri di piazza: da quando si parla di allentare le briglie se ne sono viste di tutti i colori. Ogni volta sono i partiti della destra populista a cavalcare la tigre, in nome di chi ha pagato i suoi 200 mila euro e non vuole che arrivino altri a brucare sullo stesso prato.

 

La “querelle des taxis” rivela la carenza della regolazione pubblica a livello nazionale e locale. Licenze in nero o in chiaro; turni, garanzie e sicurezza del servizio; controlli; scontrini fiscali; tariffe; tutto questo è lasciato a un mercato all’italiana basato sul clientelismo la cui levatrice è proprio la mancanza di regole chiare. Rispondere con un liberi tutti diventa una falsa scorciatoia. “Si tratta di un servizio pubblico il quale impone vincoli e obblighi dai quali non si può prescindere. E’ una questione regolamentare prima ancora che concorrenziale”, sottolinea Alberto Pera, avvocato esperto di concorrenza e antitrust, segretario generale dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato dal 1990 al 2000.

 

Non bisogna condannare né assolvere in astratto, occorre invece entrare nel merito e stabilire una chiara distinzione di responsabilità. Pera si rammarica perché la legge sulla concorrenza, che contiene norme importanti in settori essenziali (energia, porti,  servizi pubblici locali), viene ridotta a questioni tutto sommato marginali per il loro impatto economico e sociale, dai tassì agli stabilimenti balneari. Sembra proprio “una sorta di diversione”. E’ facile, del resto, trovare un capro espiatorio ad alta gradazione mediatica sul quale scaricare tutte le nequizie. Stiamo attenti a demonizzare, insomma, perché finiamo per coprire le responsabilità di un sistema pubblico che non funziona e proprio per questo lascia il campo alle camarille, all’arte di arrangiarsi e a veri e propri abusi.

 

La soluzione può venire dalle tecnologie digitali? In Italia gli utenti hanno usato l’applicazione Uber per richiedere una corsa 4,3 milioni di volte nei primi cinque mesi del 2022 contro i 2,7 nello stesso periodo del 2019. Un incremento del 158 per cento. E si sta aprendo una nuova èra di collaborazione competitiva. A Roma è stato raggiunto un accordo con la principale cooperativa Radiotaxi 3570. L’intesa consente ai 12 mila tassisti romani di poter accettare le corse utilizzando la app della compagnia di San Francisco che in cambio si tratterrà il 6 per cento su ogni corsa. In autunno sarà possibile anche a Milano per il momento solo con le 1.400 vetture della compagnia 6969. Le applicazioni dialogano e si scambiano clienti, a Torino sembra che sia già aumentato il giro d’affari.

 

Loreno Bittarelli, presidente della cooperativa romana e del consorzio ItTaxi, intervistato dal Foglio ha spiegato che “il futuro sono gli accordi con piattaforme come Uber” il cui general manager per l’Italia, Lorenzo Pireddu, ribadisce al Sole 24 Ore che si tratta di “un’alleanza di rottura rispetto al passato perché fondata su un approccio di mercato che per la prima volta è condiviso anche da loro. Noi non abbiamo mai creduto che Ncc e taxi fossero due mondi in contrapposizione. Mettiamo al centro l’utente e, se accettiamo questa prospettiva, sono semplicemente operatori che soddisfano due parti distinte della domanda”. Non solo, c’è spazio per tutti visto che in Italia le vetture pubbliche per abitante sono meno della media europea. “La quota molto bassa  – ribadisce Pireddu – è uno dei fattori di arretratezza della mobilità urbana in Italia: lascia insoddisfatta una quota strutturale di domanda, contribuisce al tasso elevato di motorizzazione privata e al livello di inquinamento delle nostre città”.

 

“La fine di una guerra presuppone sempre un accordo per arrivare a una pace”, dice il presidente della compagnia milanese, Marco Gentile: “Dal nostro punto di vista, questo accordo commerciale è riuscito a far rivedere a Uber la sua posizione sul trasporto pubblico, e allontana il pericolo delle liberalizzazioni”. Non basta a convincere tutti e Gentile sta incontrando uno a uno i suoi associati per spiegare come funzionano l’accordo e il servizio. Il dissenso serpeggia anche a Roma e piovono accuse contro Bittarelli. Anonymous, presumibilmente un tassista scontento, ha diffuso in rete un video violentissimo, nel quale si spiega, con tanto di visure camerali, come l’accordo celerebbe un business destinato a trasformare i tassisti italiani in tanti “rider al servizio di Uber che, senza taxi, non riuscirà a sfondare né in Italia né in Europa”. Demonizzare i tassisti? Non ce n’è bisogno, spesso si demonizzano da soli e si distruggono tra loro. Eppure val la pena insistere, il demone regna soltanto finché la ragione non si risveglia dal suo sonno.

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