L'alleanza Gas Gas
Il "sacrificio necessario" di Letta. Sceglie Calenda. Solo "tribuna" per Di Maio
Il Pd e Azione siglano l'accordo. E' un patto vero. Seggi, programmi. Calenda si sente già vincitore. Per Letta il costo è alto ma "ci permette di restare in partita". E di giocarsela dopo le elezioni
Adesso ce l’hanno pure loro. E’ l’altra alleanza. E’ quella progressista, la “Gas Gas” (Pd, Azione, +Europa). E’ stata sottoscritta, alla Camera, da Carlo Calenda, Enrico Letta e Benedetto Della Vedova. E’ dunque “Gas Gas” perché l’hanno siglata intorno a una bottiglia effervescente naturale, ma è anche “Gas Gas” perché come il topolino sbruffoncello di Cenerentola, “Gas Gas”, anche Calenda, quando si è presentato in sala stampa, insieme a Letta, aveva il viso furbetto del topolino con i dentoni, quello che si sente più veloce del gatto. Diceva al Foglio: “Da questo momento Andrea Orlando ha sempre ragione. Finiscono le polemiche”. Per Letta il prezzo è altissimo: “Lo abbiamo fatto per l’Italia”. Lo ha fatto anche perché ha fatto i conti e confidato: “Alleandoci con Calenda rompiamo la fantasia del terzo polo. Ma soprattutto la sfida resta ‘noi contro loro’. Destra contro sinistra liberale. E’ un sacrificio necessario”. Ha scelto Calenda. Il 70 per cento dei seggi viene assegnato al Pd e il 30 per cento ad Azione (ma scomputato da possibili altri accordi). Il Pd offre il diritto di tribuna a Luigi Di Maio come in passato l’ha offerto agli indipendenti di sinistra Giulio Carlo Argan, Carlo Levi, Ferruccio Parri. L’ex 5s Davide Crippa è in pratica il nuovo Strehler.
Era stata appena annunciata l’intesa, il patto “Gas Gas”, ed erano già scontenti Fratoianni e Bonelli (domani si incontreranno con Letta e si dice chiuderanno pure loro) ma più di tutti lo erano i parlamentari vicini a Luigi Di Maio. Manlio Di Stefano, il sottosegretario agli Esteri, dopo la notizia, che di fatto uccideva le speranze di Impegno Civico, in Transatlantico, si limitava a dire che “non si fa un’alleanza in due parlando del terzo che non c’è, Luigi”. Il “patto elettorale Pd, Azione/Più Europa” prevede che nessun leader (compresi Letta e Calenda) sia candidato nei collegi uninominali. Ha clausole molto severe per quanto riguarda gli ex sia di Forza Italia sia del M5s. Possono essere candidati ma solo nel proporzionale. Nel programma comune, che è in continuità con l’agenda Draghi, si parla di rigassificatori perché, rivendica il Pd, “i commissari ai rigassificatori sono Bonaccini e Giani, nostri amministratori”.
Nel testo si dice anche di rivedere il Rdc. Ci sono volute oltre due ore di riunione prima di arrivare all’accordo che in realtà era già stato favorito da Marco Meloni, Riccardo Magi e Matteo Richetti. Per i giornalisti che hanno atteso dietro la porta, questo patto verrà ricordato come “il vi prego, lasciate libero il passaggio”. Per ben due volte è stata avvistata Giorgia Meloni a passo cadenzato (e per i giornali progressisti era subito: falange!). Bersani veloce: “Non dico nulla”. Giorgetti e Calderoli si infilavano negli uffici della Lega. Gianfranco Rotondi, anche lui, in transito, stabiliva prima di tutti che “Calenda farà il contrario di quello che si dice. Tutti dicono che fa saltare? Ergo, si accorda”. E’ stato il primo ad anticipare come sarebbe finita. E a dire la verità pure Walter Verini, tesoriere del Pd, un Concetto Marchesi del Parlamento. Ammoniva: “Multa renascentur quam iam cecidere…rinasceranno molte cose che sembrano …”. Di mattina davvero nessuno puntava sull’accordo.
Racconta chi era al tavolo con Calenda e Letta che sembrava di stare nel film di Jim Jarmusch “Coffee and Cigarettes”. Quando Calenda è uscito dalla sala dei gruppi, e ragionevolmente felice, era come se fosse esplosa la fabbrica della British America Tobacco. La sua capacità di inalare nicotina è pari alla sua capacità di replicare su Twitter, la sua catapulta. Riccardo Magi, che gli vuol bene, e che insieme a Emma Boninoe Della Vedova ha avuto un ruolo decisivo, non è mai riuscito a contare i suoi mozziconi. Il posacenere di Calenda è il vero termometro del suo umore. Un grande giornalista che lo conosce, e bene, dice: “E’ capace di litigare anche con lo specchio. Per il resto ha una forza notevole”. Da ieri è capace di trattare. Se è vero che con il 3,6 per cento (questi erano i sondaggi) si è guadagnato il 30 per cento dei collegi (scomputato) è a dir poco un genio. Ha promesso che non polemizzerà più con nessuno: “Ce la farò. Vedrete”. E’ come il fumatore di Italo Svevo: “Smetto, è l’ultima. Credetemi”. Matteo Orfini, fuori da Montecitorio, sorrideva: “Da domani comincia l’astinenza”. Laura Boldrini, dentro, seduta su un divano, spiegava il fenomeno Calenda: “E’ un uomo simpatico, travolgente. Potrei anche fare un comizio con lui, se vuole”.
Accanto a Letta chiudeva i pugni e incitava: “Si riapre la partita. Non siamo disponibili a farci sottomettere dalla destra. La partita la vinciamo”. Proponeva asilo anche a Matteo Renzi che però ha deluso con la sua scelta di seguire Letta. Andrà da solo. Pochi giorni fa, Renzi, era a Capri, per beneficienza, con Jennifer Lopez e Jared Leto. Un dem la semplificava così: “Alla fine Calenda è solo un Renzi più simpatico”. C’è chi pensa che abbia vinto Calenda, comunque vada e chi riconosce che Letta non avesse alternativa. Dario Franceschini, uscito dalla barberia della Camera, uno che vuole a tutti i costi che il Pd arrivi primo (attenti, il Pd) diceva invece che “Di Maio deve stare tranquillo”. Il ministro incontrava Letta, di sera, e Letta gli ripeteva che la via era il diritto di tribuna o in alternativa “giocarsela”. Nessuno di questi leader si rende conto di quanto questo tempo sia accelerato. Nel Pd la convinzione è che “il governo di destra durerà sei mesi. Poi entriamo in campo noi”. Non si è neppure votato e già si ragiona del dopo del dopo.