Consiglieri dei principi - 3

L'inner circle di Giorgia Meloni, con un occhio all'esterno

Marianna Rizzini

Da Fazzolari a Crosetto a Rampelli alle voci ascoltate “fuori”, tra l'ossessione del contenuto e la militanza. Indagine sui cosiglieri della leader di Fratelli d'Italia 

Lei e loro. Lei Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia proiettata verso il sogno della premiership; e loro, gli uomini che con lei procedono ma non possono certo essere chiamati meloniani, come fossero una tribù di un pianeta alieno in un prequel di Guerre Stellari, proprio perché sono, a loro modo, tutti diversamente protagonisti della storia. E sì, ti dicono in zona FdI, “Giorgia si fida davvero di poche persone e sono sempre le stesse”, ma è anche vero che non è del tutto così, nell’epoca in cui la leader di FdI prova a proporsi, dalla destra-destra, come futuro leader di un partito conservatore di là da venire, ma le cui prove generali sono state fatte, nella sua intenzione, qualche mese fa, nel corso della convention milanese in cui il partito di estrema destra si è aperto agli altri mondi (imprenditoriali, culturali, politici – almeno questo era l’intento dell’appuntamento, espansivo già nel titolo: “Italia, energia da liberare”), con ospiti esterni, da Carlo Nordio a Marcello Pera a Giulio Tremonti a Matteo Zoppas, e con dichiarata stima di Giorgia Meloni per intellettuali ancora più esterni, a partire dal politologo e sociologo Luca Ricolfi. Come pure sono prove generali gli incontri che Meloni fa, in questa estate elettorale, per caso e non per caso, con questo e quel pezzo di establishment anche internazionale. Non prescindendo però mai da loro, dai punti di riferimento, gli uomini con cui a vario titolo la leader di FdI si confronta da anni, vuoi per la comune esperienza di militanza vuoi per la vicinanza delle idee vuoi per consuetudine vuoi perché tutti i passi sono stati fatti insieme. 


E’ il caso del senatore Giovanbattista Fazzolari, responsabile del programma di FdI: pochi anni più di Giorgia Meloni, stesso Bildungsroman nel gruppo di allora ragazzi seguiti da Fabio Rampelli, vicepresidente della Camera e pilastro del partito, l’uomo che nel pantheon interno della leader di FdI ha il ruolo d’onore del saggio, fin dai tempi in cui Giorgia Meloni militava nelle sezioni dure, tra Garbatella e via Sommacampagna. E oggi c’è chi dice che “quando Giorgia sbotta, e sbotta spesso, l’unico con cui non sbotta è Fabio”, il Rampelli che, ai tempi in cui Giorgia era vicepresidente della Camera, tra il 2006 e il 2008, mentre presidente era Fausto Bertinotti, la chiamava “Alice nel paese delle meraviglie” o “trionfo di contrasti”, e poteva dirlo in qualità di kingmaker: Rampelli infatti aveva scelto Meloni per le provinciali del 1998, quando lei ancora era una ragazzina “di grande profondità”, diceva allora l’attuale vicepresidente della Camera, lodandone tuttavia i modi non impaludati. Fatto sta che Giorgia Meloni, allora, indossava tute dai colori improbabili, e con quelle addosso si faceva le ossa nel quartiere rosso e popolare di Garbatella, forte dei cartelloni elettorali su cui figurava la scritta “sgradita al regime”.  Anche Fazzolari è figlio della stessa storia, soltanto da un’altra angolazione, quella dell’uomo-macchina che non compare volentieri in pubblico, anche se twitta senza timidezze citazioni da Ernest Junger a proposito delle città ucraine sotto scacco: “Quel che non perdono al mio tempo non è quello di essere vile, ma di dover costruire ogni giorno l’alibi della propria viltà diffamando gli eroi”, riportava Fazzolari da Junger in maggio. E, sempre senza timidezze, il senatore, uomo del programma, due giorni fa puntava parole da social contro il leader di Azione Carlo Calenda (“figuraccia Calenda, quello competente: propone di tassare del 0,1 per cento le transazioni digitali per finanziare 40 miliardi di tagli fiscali. Peccato che calcolatrice alla mano bisognerebbe tassare 40.000 miliardi, più del Pil di Usa + Ue, altro che transazioni digitali in Italia…”. Chi lo conosce, in Fdi, lo presenta agli esterni come “l’eterno Fazzolari”, visto che Giovanbattista milita e lavora al fianco di Meloni da sempre, e in particolare da quando Meloni era ministro per la Gioventù nel quarto governo Berlusconi, poco più che trentenne e lui, figlio di un diplomatico e di una professoressa, nato a Messina ma cresciuto da giramondo negli anni della scuola, fino all’approdo al liceo francese di Roma, lo Chateaubriand, ricopriva l’incarico di capo della segreteria tecnica, anche grazie all’esperienza accumulata come consigliere giuridico della Meloni vicepresidente della Camera.

Tra Giovanbattista e Giorgia l’equilibrio è di vecchia data: lui cura quello che chiama “lato contenutistico”, lei il fronte del palco, della piazza, della tv. Lei, da presidente dei giovani di Alleanza Nazionale, raccoglieva complimenti dagli avversari politici, al punto che la leggenda metropolitana narrava di un Walter Veltroni paterno che, incontrandola in aeroporto, le diceva: stai attenta, ti vogliono bruciare, ma tu dai retta a me, sono tutte cazzate (ed era quando, da An, qualcuno faceva circolare la voce di una futura Meloni leader della creatura partitica finiana, e vai a pensare che Meloni invece sarebbe diventata leader in tempi che con Fini nulla hanno a che fare). Fazzolari, invece — che ieri, intervistato da Oscar Giannino su questo giornale, ci tiene a dire che “in Italia, a regole vigenti, il programma vero di un governo si fa solo dopo le elezioni tra chi ha la maggioranza convergente sull’idea di condividerne l’esperienza” — si muoveva allora sottotraccia, con l’intento di dare un segno alle politiche giovanili, prendendole dal lato sport come da quello infrastrutture, argomento che nel corso della carriera è sempre stato uno dei suoi temi (è stato per anni Dirigente Aeroporti e Infrastrutture strategiche alla Regione Lazio), con i due soprannomi di “muro di gomma”, per via della pazienza proverbiale di fronte ai momenti di nervosismo della leader, e di “spugna”, per via della capacità di incamerare informazioni con “incredibile velocità”, racconta un compagno di partito che enumera “la vastità degli argomenti che Fazzolari può ruminare in poche ore”, fatto salvo il punto fermo dei suoi “documenti”, così li chiamano in FdI: identità nazionale e difesa della stessa, e risposte ferme alla sinistra “ipocrita e senza credibilità”, per dirla con parole da lui profuse nei corridoi quando legge qualcosa che non gli piace, tipo qualcosa sulle alleanze. Fazzolari è infatti un purista del tema “Meloni ha sempre detto che chiediamo garanzie ai nostri alleati: chi si allea con noi non deve potersi un domani alleare con la sinistra”. 


Ma se Giorgia Meloni sta in prima linea e Fazzolari dietro le quinte, e se Rampelli è per Meloni una sorta di Mosé che conserva i comandamenti, l’uomo che sta sullo sfondo non è meno importante: risponde al nome molto noto di Guido Crosetto, ex sottosegretario alla Difesa nel quarto governo Berlusconi e cofondatore di Fratelli d’Italia con Giorgia e con il senatore-colonnello (nel senso della vecchia guardia post Msi) Ignazio La Russa. Erano i giorni di fine 2012 in cui “il gigante e la bambina”, così erano chiamati Crosetto e Meloni – dopo vari mesi di subbuglio interno al Pdl, e dopo varie richieste di poter fare le primarie – si vedevano al teatro Brancaccio per dire che non si poteva “fare finta di non accorgersi” che in Italia c’era “una grande domanda di partecipazione”, e che si chiedeva ai politici “di tornare a essere la cinghia di trasmissione tra piazza e palazzo”, evitando “torsioni oligarchiche”. “Non si può pensare di decidere sempre in nome e per conto degli italiani senza chiedere mai che cosa ne pensino”, dicevano i fondatori. “Tutti sapevano che la pazienza nei confronti del governo Monti era al limite”, diceva Giorgia, mentre Crosetto se ne andava dagli studi de La7 di fronte ad alcune notizie da lui giudicate impossibili da commentare, al grido pur educato di “sono stufo di parlare del nulla” . “È un governo nato fuori dall’alveo della sovranità popolare, con ministri che si sono espressi in modo non del tutto ‘tecnico’”, diceva Giorgia a proposito del governo Monti, quando ancora non si poteva immaginare che sarebbe stata all’opposizione del governo Draghi. Lui, Crosetto, era già per lei “guru dell’economia e del pensiero globale e geopolitico”, raccontano in FdI. Fatto sta che anche oggi Crosetto è ascoltato sui temi suddetti da Giorgia Meloni quanto e come Adolfo Urso e Ignazio La Russa sono ascoltati sulle dinamiche partitico-parlamentari. A un livello “inter pares”, invece, Meloni, definita all’interno del partito “una macchina da guerra che non disdegna la dimensione corale”, si confronta con il capogruppo alla Camera Francesco Lollobrigida (anche suo cognato) e con il deputato fiorentino e responsabile dell’organizzazione Giovanni Donzelli, “grande classico dei talk del mattino quando serve qualcuno che già al mattino spari a zero”, scherza un autore tv. Ma potrebbe confrontarsi, la leader di FdI, “anche con l’ultimo degli ultimi”, dice un compagno di partito, per sottolineare l’attitudine al brainstorming che porta Meloni ad appuntarsi le doléances anche molto populiste dell’uomo della strada per poi metterle in campo successivamente, rivisitate e corrette. E però ultimamente Meloni, con Crosetto, lavora idealmente a una lista di ministri esterni all’alveo della destra-destra da lei rappresentata: da Fabio Panetta, economista stimato all’estero, ex direttore generale del Tesoro, membro del board della Bce, a Claudio Descalzi, ad di Eni e sorta di possibile “talismano”, per la leader di FdI, nel campo della non semplice questione economica.

Intanto, dall’Ufficio studi, Fazzolari ribadisce la questione delle radici, come ha detto qualche giorno fa a Formiche: “Assieme all’apparato storico della sinistra italiana, abbiamo una forte storia politica alle spalle che deriva non solo da Alleanza Nazionale, ma anche dal Popolo della Libertà. Inoltre abbiamo fino a oggi molto più personale politico di alta qualità che non posizioni politiche nelle quali rappresentarlo. Il problema esattamente opposto del M5s che ha avuto un exploit momentaneo e si ritrova a essere rappresentato da personale politico di scarsa qualità”. Come a voler sottolineare il concetto: noi abbiamo persone sul territorio e abbiamo le idee. Fazzolari e Meloni ne sono convinti, e, se serve, se lo dicono da soli.

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.