La campagna suicida di Salvini turba il sonno di Giorgia Meloni
A zonzo per Lampedusa e in giro per tutto il paese. Il segretario del Carroccio fa di tutto (inconsapevolmente) per far perdere la Lega e il centrodestra
Sono proprio i grandi sconfitti coloro che turbano di più il sonno dei vincitori. E così mercoledì sera Giorgia Meloni dissimulava e glissava, su Rete 4, mentre le veniva chiesto di Matteo Salvini, sbattuto in queste ore non si sa più da quale risacca politica sull’isola di Lampedusa, alla ricerca di migranti, scatenato contro il ministro Lamorgese “che ha riempito l’isola” e poi di nuovo critico con Lamorgese che l’isola “l’ha svuotata di notte”. Il leader leghista si trascina dal nord al sud dell’Italia per capricciosi semicerchi e repentine diagonali in una campagna elettorale sempre più ripetitiva e dunque sempre più disastrosa. Gli occhi acquosi dell’insonne, neri e lustri come uvetta di Corinto. Si sta mettendo d’impegno per fare perdere il centrodestra? C’è chi lo pensa. A destra. Perché davvero Salvini sembra il più acerrimo nemico di se stesso, e di tutta la coalizione. Altro che Enrico Letta.
Il terrore è che la Lega tracolli. Un Salvini ridimensionato dal voto è un Salvini governabile, sì, pensa Meloni. Ma un Salvini che si autodistrugge è un Salvini che affonda ogni speranza di vittoria per tutti. “E se quello prende meno del 10 per cento perdiamo le elezioni”. Gli ultimi sondaggi sono quello che sono, impietosi: -0,2 poi -0,4... Più si agita più cala. Per fortuna la campagna elettorale è corta, breve, nemmeno lui può riuscire nel miracolo di disintegrare il suo partito. Forse. Così Meloni lo guarda ormai senza irritazione, con fredda curiosità, quasi con premura. Da tempo l’abitudine ha smussato il fastidio per quella sua animalità politica da tragico truffatore di piazza, per quel talento mascalzone che la mette a disagio. Come quando le aveva detto: “Giorgia, ci vediamo tra due minuti nel tuo ufficio per discutere del governo” e poi scomparve. Giorgia aspettava, chiedeva: ma dov’è finito? Sguardi allibiti. Un pomeriggio catacombale. Poco dopo l’Ansa batteva: “Salvini al Quirinale, verso l’incarico a Draghi”.
Ecco dov’era. Turbovenditore di pentole! Ma l’insofferenza di un tempo ha lasciato il passo alla preoccupazione, talvolta al compatimento, quasi tenero, lo stesso che si può avere per un parente strambo. “Va aiutato”. Quasi il cugino picchiatello. Ecco. “Se andaste al governo lei ci assicura che non ci sarebbero più viaggi segreti in Russia?”, chiedeva l’altra sera a Meloni Luciano Fontana, il direttore del Corriere, cogliendo il punto debole della faccenda. E lei sorrideva. E’ possibile che nominiate Salvini al Viminale? E Meloni: “E’ uno capace”, si limitava a rispondere. Osservando con distacco, non si sa quanto autentico, sia Salvini sia le sue giornate da piazzista ambulante. “E’ uno capace”, dunque. Come quando quello se ne andò in Polonia, e lei tentava di non infierire: “Chiunque fa, fa bene”. Laconica. Pietosa. Quei riguardi, quelle particolari circospezioni, quelle timorate cautele, che sono il segno della più sottile e spavalda condiscendenza. Quello dice “flat tax per tutti”, con una foga di enumerazioni e parole che ha il potere di trasportare chi ascolta in una dimensione irreale (“guardate questo nuovo copriletto salmone, bellissimo, tessuto cangiante”), mentre lei immagina un’operazione verità sui conti pubblici da fare prima del voto, prima del 25 settembre. I suoi consiglieri l’hanno battezzata due diligence Italia, perché “il debito pubblico è oltre il livello di guardia”. E insomma promesse mirabolanti non si possono fare. Al contrario bisogna raccontare agli italiani come stanno le cose. Perché al governo saranno guai. Se ci si arriva. Salvini permettendo.