Il centrosinistra offra a Marco Cappato una candidatura in Parlamento
Il modello di società dell’eutanasia e del suicidio assistito per legge ha un tratto odioso e cupo, ma nelle procedure di Cappato vive in parte lo spirito libertario del suo maestro Marco Pannnella. Gli si conceda il diritto di tribuna
Non la penso come Marco Cappato sul suicidio assistito e sull’eutanasia. Sono convinto che si debba essere tolleranti e pietosi con chi considera invivibile il resto della propria vita e con chi sta in una condizione terminale. C’è una zona grigia tra vita e morte che va trattata liberalmente, secondo una casuistica i cui esiti sono affidati all’individuo e a tutto ciò che lo circonda e lo integra nel mondo degli affetti e delle scienze sanitarie, senza imporre rigori penali e senza codificare una facoltà di autoannientamento. Respingo invece la dichiarazione di guerra culturale in nome del grottesco diritto di morire.
Morire è un’occorrenza, forse anche un destino, un esito inevitabile, un mistero di iniquità metafisica, non un diritto a disposizione della pedagogia saccente della legge scritta. E’ precisamene come per l’aborto, non voglio la galera per donne e medici, ma l’interruzione volontaria di una gravidanza non è un diritto, tantomeno di privacy, e l’interdizione etica a sbarazzarsi di un essere umano concepito deve essere sostenuta da un forte discorso pubblico antiabortista e da politiche pubbliche di aiuto e dissuasione.
Il mondo morale di Cappato, in corrispondenza alle sue scelte e alle sue parole, prevede comitati, ong, un’ideologia in cui libertà individuale vuol dire isolamento, un mercato dell’assistenza al nulla fondato sulla violazione del giuramento di Ippocrate costitutivo della deontologia medica, non nuocerai in alcun modo a chi devi curare, un panorama di tristezze esistenziali che copre la strana e inafferrabile tristezza della vita con una soluzione finale che invece va dissimulata nella quieta e anche allegra nozione di continuità della specie. L’aiuto a morire secondo un codice comunitario, alla svizzera, è la negazione dell’aiuto a vivere e una estensione all’ordinario, al normale, alla norma, delle situazioni limite che vanno rispettate ma non divinizzate per mano umana.
Detto questo, che per me resta fermo oltre ogni dubbio, ribadito che il modello di società dell’eutanasia e del suicidio assistito per legge ha un tratto odioso e cupo, bisogna ammettere che nelle procedure specifiche di Cappato, angelo della morte, e nella sua implicazione personale e testimoniale, vive in parte lo spirito libertario autentico del suo maestro Marco Pannella. Prima o poi, come è successo per l’aborto, che perfino in Kansas è ormai considerato un servizio pubblico da tenersi caro in nome della sensibilità dei diritti protetti dallo stato, quello spirito di nichilismo legalistico prevarrà. Sappiamo tutti che le maggioranze sono terrorizzate da un’idea consapevole della relazione tra vita e morte. Il famoso lirismo stoico del grande poeta Vincenzo Cardarelli: “morire sì, non essere aggrediti dalla morte”, nella società contemporanea è un fuor d’opera e una nebbiosa lontananza. Dunque, se la coalizione di centrosinistra in tutte le sue componenti effettive o presunte ha la strategia dei diritti e una tempra liberale dipinte sugli scudi, sarebbe ragionevole, come ha proposto Luciano Capone, offrire a Cappato, magari con un’argomentazione sobria e non sovrapponibile alle sue pratiche, il famoso diritto di tribuna, una candidatura al Parlamento.