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la riflessione

Giorgia, Salvini e il Cav.: il conservatorismo ha bisogno di voi

Marcello Pera

L’impresa di trasformare FdI in un partito sul modello anglosassone è ardita. E la sua identità cristiana è sacrosanta

Questa storia del conservatorismo e di ciò che ne viene fatto discendere: l’antieuropeismo, il sovranismo, il nazionalismo, e infine il fascismo, merita di essere discussa seriamente, se non altro perché ci offre un’occasione preziosa di sollevare la qualità del dibattito politico ed elettorale. Cercherò di farlo procedendo more synthetico, perché se si ragiona a partire dai princìpi è più facile pervenire a conclusioni chiare e cogliere, se ci sono, smagliature nel ragionamento.

Al pari del liberalismo e del socialismo, il conservatorismo non ha una “essenza”, ma presenta alcuni tratti correlati fra loro da una comune aria di famiglia. Anche il conservatore cambia pelle. Come fa il liberale: quale Locke o Jefferson avrebbero mai immaginato che Obama fosse dei loro? E come fa il socialista: Marx, Lenin, o anche solo John Stuart Mill, avrebbero mai pensato che i proletari di tutto il mondo dovessero unirsi nell’Unione europea per liberarsi delle loro catene? E però, nonostante i cambiamenti, “al fondo” resta qualcosa di riconoscibile, sia pure come l’immagine di se stessi su una carta di identità scaduta da anni.  Nel caso del conservatorismo, diciamo che esso è una dottrina e una pratica politica caratterizzata da almeno tre premesse o assiomi o princìpi. (1) L’uomo è plasmato dalla società o comunità in cui vive e dalla tradizione che lo nutre e ne definisce l’identità. Spontaneamente e talvolta anche acriticamente, penserà nei termini e nei limiti di quella tradizione.

Se la tradizione è cristiana, penserà che tutti sono uguali di fronte al Creatore; se la tradizione è musulmana, penserà che una donna vale sì e no mezzo uomo; e così via. Il conservatore nega che esista l’uomo in quanto uomo, o l’uomo in sé, l’uomo in astratto, l’uomo naturale, l’uomo sub specie aeternitatis, che si può conoscere con la ragione, come un atomo, un virus, un fiore. (2) Le istituzioni sociali e politiche sono sì opera dell’uomo, ma assai più frutto spontaneo che opera di un disegno. Anche quando siano progettate e realizzate, ad esempio con un atto rivoluzionario meditato, esse, a causa di una miriade di variabili dalle conseguenze non controllabili, non sono mai perfette. Tipicamente, il conservatore  pensa che esse abbiano bisogno di continui aggiustamenti, come quelli di una macchina che si usura.  (3) Della tradizione in cui nasce e vive e senza la quale l’uomo non potrebbe neppure orientarsi, è parte integrante la religione tramandata. L’uomo è un animale religioso: toglietegli il credo, la fede, e non avrà più neppure la carta di identità. Perciò il conservatore non direbbe mai ciò che, poco consapevole di spargere veleno, disse Popper a proposito del liberalismo: “Penso che il liberalismo possa vivere senza la religione”. 


Per il conservatore le riforme si fanno con la prudenza dell’ingegneria, non con l’audacia della chirurgia


Nascono da questi princìpi almeno due grandi conseguenze. La prima è che i conservatori si oppongono ai rivoluzionari, i radicali, gli utopisti, coloro che intendono cancellare le istituzioni presenti e le tradizioni consolidate per sostituirle ex-novo e costruire un uomo nuovo. Il conservatore è fieramente avverso al socialista, per l’idea che questi nutre di “disegnare la società” o di avanzare “progetti sociali”; ed è avverso anche al liberale, ad esempio, per quella sua convinzione che la ragione ci consente di conoscere l’uomo nella sua “essenza” e così di attribuirgli proprietà di valore fuori da circostanze di tempo, luogo, cultura, storia.
La seconda conseguenza dei princìpi conservatori è che il conservatorismo non è incompatibile con le riforme delle istituzioni politiche (gli aggiustamenti della macchina). Solo che, per il conservatore, queste riforme, toccando l’identità, si devono fare con la prudenza dell’ingegneria, non con l’audacia della chirurgia. L’esistente ha valore, non semplicemente perché esiste, ma perché è il deposito della saggezza, dell’esperienza, della riflessione di intere generazioni, fuori del quale c’è il vuoto che genera il caos.

Proviamo a essere più specifici. Il conservatore si oppone al socialista, perché questi è un costruttivista: pensa, grazie alla ragione, di cogliere le leggi del cammino o del destino dell’umanità e pensa che il suo compito sia quello di trovare i mezzi (la rivoluzione, le riforme di struttura, i piani quinquennali, ecc.) per realizzare questo destino. Non si accorge, il socialista, che il cosiddetto destino dell’umanità è una costruzione intellettuale del tutto artificiosa che nasconde i suoi desideri e la sua hubris.


“Io sono cristiana”, dice Meloni. E che altro dovrebbe dire un conservatore in Europa? 


Inoltre, il conservatore si oppone al liberale, là dove questi si distrugge da solo. Il liberale crede nella libertà dell’individuo come bene supremo, crede che la funzione dello stato debba essere quella giuridica minima di garantire tale libertà (il guardiano mediante il diritto), e crede che lo stato e la società non debbano interferire con le scelte di vita individuale. Il “bene comune”, che non sia una mera funzione di quelli personali, è la sua bestia nera. Ma così produce un paradosso. Se esiste un diritto cosmopolitico, razionalmente provato come il più adatto all’uomo in quanto uomo, allora esistono i diritti dell’uomo: inalienabili, imprescrittibili, pre-politici, non negoziabili. Essendo di valore universale, questi diritti, come la giustizia che essi incarnano, devono essere esportati ovunque (lo richiede proprio la giustizia), anche in nazioni, comunità, stati che li rifiutassero, e anche a costo di guerre di cambio di regime. Così, il liberale comincia col rispetto dell’individuo e finisce sul campo di battaglia. Inoltre, se esiste un diritto cosmopolitico a misura dell’uomo in quanto uomo, allora, per proteggerlo, il liberale è portato a costruire istituzioni sovranazionali, fino a quella massima. E così il liberale comincia con lo stato minimo e finisce con lo stato mondiale, cioè una dittatura. I liberal americani sono degli specialisti nello svolgere in politica estera queste nefaste conseguenze della loro ideologia.

Infine, il conservatore si oppone al relativismo morale. Le religioni non sono tutte uguali e nessuna è un affare privato. Le religioni innervano le tradizioni e la religione della tradizione occidentale è il cristianesimo. Difendere l’occidente – oggi anche in armi, se Putin proprio lo vuole – è difendere i valori e i princìpi morali quali si ricavano dalla predicazione e passione di Cristo. Non a caso chi difende i diritti dell’uomo altro riferimento diverso dalla fede cristiana è mai riuscito ad addurre per giustificarli. 


Chiedere all’Ue di rispettare la specifica identità religiosa di un popolo riguardo alla sua legislazione etica è una colpa?


Ora mi sembra un po’ più facile venire a noi con un paio di conclusioni per orientarci nel dibattito. La prima. Giorgia Meloni sta compiendo un’operazione mai tentata né a destra né a sinistra: sta trasformando Fratelli d’Italia in un partito conservatore, secondo princìpi propri di formazioni analoghe in America e Gran Bretagna. Se si pensa che la sinistra non ha mai celebrato la sua Bad Godesberg (con Occhetto o D’Alema o Veltroni o Renzi, tutti sempre pronti a fuoriuscire dalla storia ma zitti zitti e in punta di piedi per non farsene accorgere); e se si pensa che la Democrazia cristiana preferì estinguersi piuttosto che trovarsi diversi connotati e pratiche; allora gli sforzi di Giorgia Meloni devono essere apprezzati. Riuscirà? I colonnelli vecchi e giovani, i piccoli gerarchi, gli opportunisti (ci sono in ogni partito) la lasceranno lavorare? Si tratta di camaleontismo? Si vedrà. Per ora, si registrano convinzione, determinazione, serietà, autorevolezza guadagnata sul campo.

Seconda conseguenza. “Io sono cristiana” (con lo stesso intento e lo stesso scopo Salvini dice, giustamente, “Credo”). E che altro dovrebbe dire un conservatore in Europa? Ma lo dicono anche Orbán e Kaczynski, che sono sovranisti! E ne hanno ben motivo: mettetevi nei panni di un polacco a cui il cristianesimo ha consentito di sopravvivere ai milioni di morti provocati da nazisti e comunisti. Dovrebbe dire: sono laico, secolarista, ateo, la religione non conta, è un affaretto privato? Ma Orbán e gli altri sono antieuropeisti! Sia pure. Essere contrari alle delibere di un Parlamento spensierato e fantoccio come quello europeo, che esporta il suo credo relativista, non è forse cosa giusta? Chiedere all’Unione europea di rispettare la specifica identità religiosa di un popolo riguardo alla sua legislazione etica è una colpa? La difesa dell’identità nazionale va bene solo quando si tratta di formaggi, vini e salsicce e non di matrimonio, vita, morte? Perché sono fascista quando rifiuto l’aborto e non, poniamo, il salamaccio tedesco? Non sarebbe piuttosto più giusto che, su certe materie sensibili per la coscienza dei popoli, l’Unione europea lasciasse una riserva di legislazione nazionale?


La difesa dell’identità nazionale vale solo se si tratta di formaggi e salsicce e non di matrimonio, vita, morte? 


C’è infine la questione delle riforme e segnatamente del presidenzialismo. Obiezione: è roba missina, cara la mia Giorgia, autoritaria, plebiscitaria, pericolosa per la democrazia. Non si può fare “per ragioni di tecnica costituzionale” spiegate “benissimo” da Luciano Violante, ci ha detto un autocompiaciuto opinionista liberale del Corriere. Ma davvero? Se a quel gruppo di “professori di Forza Italia” che nel 1996 (sotto la guida, dico, di Carlo Mezzanotte) fecero del presidenzialismo un progetto ben definito e articolato avessero obiettato che erano antidemocratici si sarebbero scompisciati dalle risate. Dunque – Giorgia e Salvini e Berlusconi – andate avanti: il conservatorismo, e non solo quello, vi chiede di aggiustare la macchina. Senza tracotanza e supponenza, senza sentimenti di rivincita, in forma prudente e tono convincente, con serietà, ne avete il dovere e ne portate la responsabilità.