Sovranisti a Taiwan. Il senso per la Cina di Giorgia Meloni
L’Amministrazione Biden vuole aumentare la pressione su Pechino soprattutto dopo la reazione alla visita di Nancy Pelosi a Taiwan. Ma a chi si affiderà, in Italia, in caso di vittoria del centrodestra?
Anche dopo l’invasione russa dell’Ucraina, la Cina e il suo contenimento restano le priorità dell’Amministrazione americana. E tra i paesi del G7 l’unico a preoccupare Washington, per via dei segnali contraddittori nel suo rapporto con la Cina, è l’Italia: con il governo di Mario Draghi la postura atlantista del nostro paese non era stata più messa in discussione, anche dopo la firma per l’ingresso nella Via della Seta nel marzo del 2019. Ma adesso, con una campagna elettorale da affrontare e un nuovo governo da decifrare dopo il 25 settembre, a Washington iniziano le preoccupazioni: com’è fatto questo centrodestra? Chi sono davvero i conservatori italiani? L’esempio a cui guardano dall’America è sempre quello di Viktor Orbán, il primo ministro ungherese ultraconservatore, spina nel fianco dell’Ue molto amico sia di Putin sia del leader cinese Xi Jinping. Ma la coalizione di centrodestra italiana è ben più complessa e variegata. L’Amministrazione Biden vuole aumentare la pressione su Pechino soprattutto dopo la reazione alla visita di Nancy Pelosi a Taiwan. Secondo fonti del Foglio, presto Washington potrebbe promuovere con i parlamenti nazionali europei alcune delegazioni dirette a Taipei, un modo per normalizzare le relazioni con l’isola che la Cina rivendica come proprio territorio. Sta cercando di sondare, anche in Italia, chi potrebbe essere disponibile a farlo.
Naturalmente il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, oltreoceano lo conoscono bene. Il suo partito è l’unico che ha manifestato sempre una certa coerenza nei rapporti con Pechino, ma sarà sufficientemente influente? Il leader della Lega, Matteo Salvini, era vicepremier quando l’Italia fece il suo ingresso nella Via della Seta, l’intesa sponsorizzata soprattutto da un sottosegretario della Lega, Michele Geraci. Dopo la caduta del governo gialloverde, Salvini si è convertito, ha addirittura organizzato un flash mob contro Pechino davanti all’ambasciata cinese a Roma per la questione Hong Kong. Poi la sua fotografia al fianco dell’ambasciatore Li Junhua il 3 settembre del 2021 ha fatto di nuovo il giro delle cancellerie dei paesi alleati. Vero è che tra le fila della Lega ci sono politici (come Paolo Formentini) che si sono dedicati molto alla causa anticinese, ma questa scarsa coerenza resta un’incognita per chi, dall’estero, cerca di interpretare la politica italiana.
La vera new entry per gli americani è Giorgia Meloni. Da qualche tempo la leader di Fratelli d’Italia, possibile prossima presidente del Consiglio, cita quasi ossessivamente la Cina con esternazioni a dir poco antipatizzanti. Ma le posizioni di Meloni nei riguardi dei nuovi assetti della politica internazionale e della Cina, per la verità, non erano così chiare prima del suo exploit nei sondaggi, e raramente l’autoritarismo di Pechino era entrato come argomento dei suoi comizi. Questo cambiamento è il segnale che il partito ha già iniziato a lavorare a un accreditamento con la coalizione anticinese a guida americana. Il messaggio è arrivato il 26 luglio scorso, quando Meloni ha incontrato per la prima volta l’ambasciatore di Taiwan in Italia Andrea Sing-Ying Lee – e su Twitter l’ha chiamato proprio così, “ambasciatore”, nonostante il titolo formale riconosciuto dalla Farnesina per Lee sia l’eufemismo “rappresentante dell’ufficio di Taipei in Italia”. E si parla con insistenza della possibilità di candidare con Fratelli d’Italia l’ex ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant’Agata, noto nella comunità internazionale per il suo attivismo anticinese.
Questo essere anticinese di Meloni ha una fortissima connotazione politica in America, e di area al cento per cento trumpiana che da almeno tre anni, dopo aver a lungo agitato lo spettro dell’islam radicale, hanno un nuovo nemico comune: la Cina. A febbraio, durante il suo viaggio in Florida alla Conservative political action conference, Meloni avrebbe avuto un incontro con Gordon Chang, autore e commentatore caduto un po’ in disgrazia dopo che nel suo libro “The Coming Collapse of China” aveva previsto il collasso della Repubblica popolare nel 2011, poi reclutato dai conservatori e molto attivo nelle loro conferenze. Il Foglio ha provato a contattare Chang, per sapere quale impressione avesse avuto delle posizioni di Meloni sulla Cina, ma non ha mai risposto.