faide lucane
“Il Pd mi ha spremuto come un limone e buttato nella spazzatura". Parla M. Pittella
L'arresto e la malattia, l'assoluzione e la guarigione, la mancata candidatura e la rottura con Letta. "Sono stato tradito e abbandonato. Ora mi candido contro il Pd nel terzo polo riformista e garantista". Il caso dell'ex presidente lucano segna la fine del partito-regione in Basilicata
Uno con gli “occhi di tigre” Enrico Letta ce l’aveva in casa, ma se l’è fatto nemico. E ora in Basilicata rischia di perdere il terzo seggio in palio al Senato (due su tre sono dati al centrodestra). Marcello Pittella, candidato con il terzo polo di Carlo Calenda e Matteo Renzi, è agguerrito contro quelli che fino a pochi giorni fa erano i suoi compagni di partito. L’ex presidente della regione, ultimo discendente della dinastia politica socialista lucana, si dice “mortificato” per il trattamento subìto: “Ho militato per decenni da questa parte, sono sempre stato il primo degli eletti e poi messo in panchina”.
Ma rispetto ai dissidi politici sulle candidature che sempre accadono nei partiti, nel caso di Pittella c’è anche una questione che è umana e pre-politica. Nel 2018 viene arrestato per “concorso morale in falso” ed è costretto a lasciare la regione che poi passa al centrodestra. “Mi dimetto, mi ricandido e sono il primo eletto. Faccio il consigliere con sacrificio, mi viene un tumore del midollo osseo”. Prima supera la malattia e tre anni dopo l’arresto viene assolto. E il partito? “Diceva ‘Marcello se sarai assolto, se vincerai contro il tumore... ti dobbiamo ristorare, hai subìto ingiustizie... siamo una grande famiglia...”. Segato. Il fratello di Gianni Pittella, altro pezzo grosso del Pd anche lui uscito dal partito, probabilmente riteneva che la candidatura gli fosse dovuta. “Sono stato tradito e abbandonato. Prima spremuto come un limone per i consensi e per il lavoro, e poi buttato nella spazzatura”. Ma per quale motivo non è stato candidato? “Perché Letta ha deciso con Provenzano, in pendant con il giovane segretario regionale e De Filippo, di prediligere la filiera corta. Se si fosse fatto un ragionamento di rinnovamento o di maggiore qualità, perché no? Ma serviva un passo indietro di tutti i parlamentari. E invece De Filippo da deputato passa al Senato, perché amico di Letta e di Meloni (Marco, ndr). Non ho nulla contro le persone, rispetto tutti, ma questo metodo è inaccettabile”.
Un po’ di contesto. Vito De Filippo è il predecessore di Pittella alla presidenza della Basilicata, espressione anche lui di quello che era il partito-regione, poi passato con Renzi in Italia Viva e infine rientrato nel Pd, che si contenderà il seggio al Senato proprio contro Pittella che fino a ieri era nel Pd e ora è candidato con Renzi. Il giovane segretario regionale lucano, invece, è Raffaele La Regina, già collaboratore del vicesegretario del Pd Peppe Provenzano, che era stato indicato come capolista da Letta e ha dovuto rinunciare al seggio sicuro per alcuni commenti sui social network contro Israele. “Questo non è più un partito, se funziona a fregare i compagni. È una questione di merito e di metodo. Letta ha candidato La Regina, che dice in direzione regionale: ‘Questi sono i nomi, io non sono in lizza’, e dopo cinque giorni di vacanze romane se ne torna in Basilicata come capolista”. Poi però salta La Regina. “E Letta non se ne frega nulla del territorio e mette una persona importante e capace come Amendola, che però è campano. Ma allora ce l’hai proprio! Non è la questione di Pittella come individuo, ma che senso dai alla militanza, al sacrificio e al legame col territorio?”. Difficile dire che non sia una questione personale il suo passaggio al terzo polo per sconfiggere il Pd. “Non è una reazione personale, ma una questione di libertà, di dignità e rispetto della sofferenza degli uomini. E anche una questione di garantismo. O lo lasciamo impersonare solo alla destra mentre a sinistra facciamo i fucilieri dei nostri compagni anche dopo le assoluzioni? A chi la vogliono raccontare... io vivo libero e faccio le mie battaglie”.
Ora la sinistra si trova in una situazione surreale: da un lato due suoi ex governatori che si scontrano per un posto; dall’altro il lucano Roberto Speranza candidato in Campania e il campano Enzo Amendola candidato in Basilicata... “È il vulnus della legge elettorale che si somma alla riduzione del numero dei parlamentari. E poi si aggiungono le scelte dei partiti. Già non ci sono le preferenze, poi si fanno liste senza criteri di merito e militanza. La verità è che le liste le fa il segretario a sua immagine e somiglianza per accomodare le persone, anche di qualità, che però sono sganciate dal territorio. Lo dico con il massimo rispetto delle persone, ma la Basilicata la difenderà Amendola o Salvini o la Casellati, che non sa neppure dov’è sulla cartina?”.
In un certo senso c’è anche il problema opposto. Il terzo polo di Calenda e Renzi, soprattutto al sud, sta imbarcando pezzi di notabilato che hanno consenso sul territorio ma non hano legami con il progetto politico nazionale. Lo si è visto con le liste in Puglia, piene di supporter di Emiliano. E anche l’ingresso dei Pittella sembra sguire lo stesso schema che sa di trasformismo. “Non la vedo così – risponde Marcello, probabilmente anche a nome del fratello Gianni – Calenda e Carfagna stanno facendo un grande lavoro, la competizione elettorale non può fare a meno del consenso. Si possono fare errori su singoli casi, ma è insito nella dinamica elettorale. È un progetto nuovo che ha bisogno di tempo e, dove è possibile, è necessario introdurre persone che hanno un portato elettorale significativo insieme alla coerenza di un messaggio nuovo”.
Pittella non ha preso quindi il terzo polo come un taxi per Roma? “Se non mi fossi candidato sarei comunque uscito dal Pd e avrei costituito un’associazione, un luogo politico civico dove il riformismo socialista e un pezzo di liberalismo potessero trovare un approdo. Perché è ciò che manca. Ora lo faccio attraverso la mia candidatura, sfidando il Pd e vincendo contro il Pd. In Basilicata si sta aprendo un nuovo mondo”. Beh, comunque andrà finire, in Basilicata è più che altro la fine di un mondo. “Il partito-regione non esisterà più. Dovrà fare i conti con un polo che unisce centrismo cattolico, laico e riformista e che si ribella a questo metodo. Quel modello aveva mostrato segnali di logoramento e ora si è rotto definitivamente”.