Il colloquio
"La politica miope e ideologica non si occupa delle carceri". Le proposte del Garante dei detenuti
Dopo l'ennesimo suicidio a Foggia, leader politici e partiti restano in silenzio: "Non è tema da campagna elettorale, non porta consensi", dice Mauro Palma: "Servono più istruzione e più operatori sociali". E rivedere la detenzione per chi ha pene molto brevi. Appunti
L'ultimo caso è avvenuto lunedì, nel carcere di Foggia. Un detenuto si è suicidato, a trent'anni, nel giorno del suo compleanno. L'ennesima tragedia nelle carceri italiane di cui la politica politicante, quella che si scanna tra tweet e devianze, non sembra volersi occupare. Nessun commento, nessuna riflessione: “Non è tema da campagna elettorale”, dice al Foglio il Garante dei diritti delle persone private della libertà. E le ragioni di questo scollamento, spiega Mauro Palma, in carica fino al prossimo febbraio, sono almeno tre: “C'è disinteresse perchè è un settore che non porta voti e consensi. C'è la miopia di gran parte della politica, che non si proietta in avanti ma guarda solo l'immediato, rinunciando a ridurre i costi che il mancato reinserimento dei detenuti produce, sul piano sociale, sanitario e su molti altro livelli”. E c'è poi un terzo tema: “Aver reso il carcere terreno di scontro ideologico. Da un lato sembra si voglia tutti fuori, dall'altro tutti dentro a marcire, buttando via la chiave”.
È chiaro allora che partendo da queste basi un dibattito efficace diventa impossibile. “Bisogna porsi su un altro piano, perché se il diritto penale non riesce a costruire anche percorsi di positività, a riaffermarsi come strumento sussidiaro insieme ad altri modelli di regolazione sociale, è inutile”, argomenta Palma. Il carcere “andrebbe depurato di questo elemento di rappresentazione simbolica. Non serve l'approccio duro, né quello troppo compassionevole, ma ragionare in termini di funzionalità”.
Nel frattempo, quello di lunedì in Puglia è stato il 53esimo suicidio dall'inizio dell'anno, a fronte dei 61 complessivamente registrati del 2021. Per il Garante, questi non sono gli unici numeri su cui riflettere: “Ci sono stati anche 19 decessi per cause da accertare e qualche suicidio non si può escludere”. Quanto alle ragioni che spingono a togliersi la vita, dice ancora Palma, è sempre difficile individuare con certezza le responsabilità di qualcuno o di qualcosa: “Leggo interpretazioni, tutte vere, legate al sovraffolamento e alle difficili condizioni dei penintenziari. Ma le vedo come concause”. Di fattori ce ne sono anche altri: “L'inutilità del tempo sottratto ai detenuti: oggi sono in carcere 1.342 persone che hanno avuto una pena inferiore a un anno mentre altre 2.592 hanno una condanna compresa tra uno e due anni: quasi 4 mila persone per cui il carcere non può far nulla”.
Troppo poco tempo per costruire un reale percorso di conoscenza e di riabilitazione, ma abbastanza per cucire addosso al detenuto quello stigma che ne pregiudica spesso il reinserimento sociale: “Il rischio in questi casi è che il carcere sia inutile in partenza e aggravante in uscita. Questo spiega anche perché molti suicidi avvengano poco dopo l'inizio della detenzione e altri verso la fine”. Accanto a questa traiettoria “interna”, Palma ne individua un'altra, "esterna", che riporta di nuovo alle miopie dei partiti. Se i detenuti non percepiscono un'attenzione politica sulle condizioni delle carceri - nemmeno minima, a ridosso delle elezioni - , "si può alimentare un senso di abbandono, che in certi casi porta anche all'autodistruzione",
Per tutte queste ragioni, “il carcere dovrebbe recuperare un rapporto con il corpo, anziché annichilirlo, a cominciare dalla sessualità. Non è pensabile oggi l'abolizione tout court del carcere ma una riduzione seria è invece molto molto possibile. Sono questi i nodi che dobbiamo affrontare”, sottolinea il Garante. I tempi sarebbero anche propizi, essendo la campagna elettorale – almeno in linea teorica – il momento dei programmi e delle proposte.
A questo proposito Palma individua e suggerisce le tre priorità che tutti partiti potrebbero inserire nelle loro agende: “Un investimento culturale, ovvero istruzione e formazione massiccia all'interno delle carceri. Su quasi 55mila detenuti ce ne sono 1.200 che frequentano l'università ma anche 900 analfabeti”. C'è poi una dimensione che non riguarda direttamente i detenuti, ma risulta comunque decisiva per la vita negli isituti di reclusione: “Una verifica delle competenze e una revisione dei regolamenti interni, che riservi maggiore attenzione alle necessità di chi è recluso e potenzi tutti i percorsi di connessione con il mondo esterno. È necessaria una maggiore presenza di operatori sociali. Compiti che oggi vengono a volte ricoperti dalla polizia penitenziaria che, oltre al ruolo di sorveglianza, finisce per farsi carico di altri tipi di problemi per i quali non è preparata”.
Infine, conclude Palma, bisognerebbe istituire delle “Case di controllo e accoglienza, con il supporto e la responsabilità dei sindaci". A beneficiarne sarebbero tutte quelle persone che "non accedono a misure alternative in quanto senza fissa dimora, pur avendone diritto. Una situazione che riguarda migliaia di detenuti con pene brevi. Sarebbe anche una risposta al sovraffollamento e permetterebbe di restiruire centralità ai territori”. Meno strumentalizzazioni, più soluzioni: i candidati prendano nota.