dal Meeting
A Rimini, Salvini imbarazza Meloni. Lei fa il pieno di applausi
Le sanzioni a Putin dividono già la destra. La leader di Fratelli d'Italia supera la prova Rimini. Rimpianto Draghi
Laudato si’ signore “Meeting”. E siano lodati “nostra sorella messinscena” e frate “ipocrisia”. Grazie al “vade retro maleducazione”, Matteo Salvini, che pure l’ha detta grossa (“Sanzioni alla Russia, riflettiamoci”) ha praticato i suoi esercizi spirituali: “Non voglio fare il nome di quel segretario…” (era Enrico Letta) mentre Letta aggiungeva: “Sento proposte di presidenzialismo da parte di qualcuno…” (erano di Giorgia Meloni che era seduta alla sua sinistra). A Rimini, a casa Cl, sotto il capannone della sussidiarietà, si è ritrovato non tanto uno “stile” (di quello parlerà oggi Mario Draghi nel suo Cantico di fine governo) ma almeno, per due ore, è stata differenziata l’immondizia elettorale: cassone verde (stupri) cassone rosso (polizze, “me te compro”) cassone bianco (invettive riciclabili: antisionismo, putinismo). Per la prima volta, dopo un tempo che è già infinito, Meloni, Letta, Salvini, Tajani, con la partecipazione di Rosato, Di Maio e Lupi hanno discusso di “corpi intermedi”, “price cap”, “sanzioni” che sono già la vera divisione di centrodestra. Salvini: “Pensiamoci”. Tajani: “Non se ne parla”. Meloni, li lascia parlare.
Matteo Salvini si è presentato senza calze. Enrico Letta si è preso i “buu” degli studenti Pietro e Filippo quando ha proposto “l’obbligo scolastico esteso fino ai 18 anni”. Giorgia Meloni ha raccolto l’applauso più fragoroso quando ha raccontato, candidamente, di avere imparato più “da cameriera che da parlamentare”. La signora Franca, 80 anni, di Rieti, si è asciugata gli occhi. La voterà. Per Maurizio Lupi e Giorgio Vittadini, i due Papi del Meeting, è stata standing ovation anche se, e lo precisava teneramente il direttore del Corriere della Sera, Luciano Fontana, “si sa che giocano in casa”. Era la prima volta per tanti. Era la prima volta della Meloni, “mai venuta a Rimini in presenza”. Ma era la prima volta pure per Letta, da segretario del Pd, ed è stato lui ad aggiungere “pro tempore”. In segreteria lo dicono: “Il partito sta lasciando che Calenda lo maltratti. Lo fa passare come il segretario a sonagli, il segretario becco”.
Era la prima volta di Salvini ma da secondo, nella boxe si direbbe “sparring partner”. Sono i vecchi campioni ormai fuori gioco che vengono chiamati a fare da sacco per i nuovi. Norman Mailer, che sul pugilato ha scritto un libro indimenticabile “The fight” (La Nave di Teseo), ha descritto, ad esempio, quelli che si era scelto Ali a Kinshasa, prima dell’incontro con Foreman. Ce n’era uno che si chiamava Moore che, come ora Salvini, “somigliava a un ampolloso professore nero che suonava il sax il fine settimana”. Era stata una leggenda come Ali, forse più di lui. Ecco cosa è il tempo. Prima di salire sul palco insieme agli altri leader, Salvini ha infatti tirato fuori l’idea che sulle sanzioni sarebbe il caso di riflettere, perché “fanno la fortuna del sanzionato”. Dopo quelle sue parole, Draghi ha mandato un messaggio al premier ucraino di “fermo sostegno” perché “l’Italia continuerà a sostenere l’Ucraina”. Un operatore, uno dei più brillanti, che stava per andare ad Ancona per seguire il comizio della Meloni, per canzonarlo confidava: “Mi sembra di capire che Salvini chieda l’analisi costi-benefici sulla guerra in Ucraina come Toninelli la chiedeva sulla Tav”.
Francesco Lollobrigida, che era insieme alla leader di FdI e che ormai si muove da uomo di governo (lui le calze le porta e il risvolto dei pantaloni è già a misura, tre centimetri) al Foglio spiegava: “Se prende l’ottanta per cento, Salvini può decidere la politica estera. Ma non mi pare prenda l’ottanta per cento”. E chiaramente scherzava ma quando si faceva serio, Lollobrigida, spiegava qual è il problema di Salvini: “Dice cose che se articolate con più grazia avrebbero senso”. Antonio Tajani, uno che ha raccolto gli stessi applausi di Salvini (a Rimini, Forza Italia tallona la Lega) e che resta un possibile ministro degli Esteri, la pensa come Lollobrigida: “Le sanzioni alla Russia non si discutono. Salvini pone una questione su quanto gravano le sanzioni”. Giuseppe Paterniti, studente di ingegneria, dice che voterà “Terzo polo, ma riconosco la coerenza della Meloni”. Sul palco lei conversava con Letta, Salvini si faceva i selfie da solo e a volte chiacchierava con Rosato. Quando Meloni prendeva appunti (adesso si porta un quaderno giallo) per rispondere alle domande di Vittadini, Salvini si avvicinava e la disturbava. Era come a scuola. L’imbranato del banco dietro chiede alla ragazza che ha studiato: “Ma questa la sai? Me la dici?”.
Meloni, che scriveva, non alzava neppure gli occhi, e lui: “Giorgia, Giorgia…”. Ha vinto lei, se gli applausi sono un termometro, ha vinto quando parlava del “mio partito pesante”, ma adesso è come se i pensieri la appesantiscano. Ha provato a citare il libro di Luca Ricolfi ma non ricordava il titolo e non perché non lo avesse letto, ma perché ne sta leggendo troppi e tutti in una volta, ma la cultura è dimenticare dopo aver assorbito. Servono anni. Cercava di conquistare il pubblico cattolico con “la dottrina sociale della Chiesa” e ha proposto perfino “un liceo del made in Italy”. Quando Giorgia Meloni è entrata al ristorante, cappelletti (10 euro), fuori la attendevano uomini impomatati, donne con le perle, ragazzi con l’occhiale “preciso”. Avevano tutti i biglietti da visita in tasca. Salvini usciva da dietro. Di Maio ormai parla come fosse Jacques Delors. Draghi, mentre si chiude questo articolo, dicono stia correggendo il suo discorso sulla speranza: “Ce la possiamo fare, come ce l’abbiamo fatta 18 mesi fa”. Viene rimpianto. Gli unici a divertirsi sono i piccoli Nicola ed Eugenia che ai giornalisti chiedono: “Hai preso il gadget? Ma non lo sai che qui sono bellissimi?”.