Par condicio demenziale
Sul caso Dalla Chiesa la par condicio è demenziale. Altro che Letta e l'Agcom
Nel quarantennale di una delle più gravi stragi di mafia non si può ricordare la Storia attraverso la figura di un martire della Repubblica perché sua figlia è candidata alle elezioni. Intanto il Pd piagnucola per l’applicazione di quella norma “bizantina” che fu proprio la sinistra a imporre
Il fuori-tempismo di Enrico Letta ogni volta che dichiara non avrebbe nulla da invidiare al mitico fuori-sincrono di Enrico Ghezzi, se non l’efficacia, e di sicuro un giorno verrà studiato a Sciences Po come esempio di comunicazione elettorale da evitare. Avesse aspettato solo un attimo, prima di denunciare come “molto bizantina” la decisione dell’Agcom di non permettere a Vespa un confronto a due che invero la legge della par condicio esclude, avrebbe potuto segnalare come bizantina, ma per davvero, la decisione della Rai di rinviare una miniserie del filone civile, “Il nostro generale”, dedicata a Carlo Alberto Dalla Chiesa nel quarantesimo anniversario del suo assassinio da parte della mafia, che doveva debuttare su Rai1 l’11 settembre.
Invece no, perché quarant’anni dopo la figlia del generale, Rita Dalla Chiesa, volto pubblico piuttosto noto, tale da non aver bisogno di visibilità aggiuntive, si è candidata con Forza Italia. E dunque, secondo i lungimiranti vertici Rai, la serie tv violerebbe la par condicio in base al regolamento varato in agosto dalla commissione di Vigilanza e che si rifà pedissequamente alla rugginosa legge nata male e invecchiata peggio. Compulsato il regolamento, come faceva Frassica ai tempi di “Indietro tutta”, si scopre però che l’unico riferimento vagamente applicabile al caso bizantino sarebbe questo, art. 4 comma 7: “In tutte le trasmissioni radiotelevisive diverse da quelle di comunicazione politica” (blabla) “non possono essere trattati temi di evidente rilevanza politica ed elettorale, né che riguardino vicende o fatti personali di personaggi politici”.
Il comma, come si dice, “né vieta né permette”, dunque si tratta di una interpretazione opinabile che contraddice, più che la logica, il senso del servizio pubblico. Con perversione leguleia, infatti, si decide che nel quarantennale di una delle più gravi stragi di mafia non si può ricordare la Storia attraverso la figura di un martire della Repubblica. Essere figlia di un eroe vìola la par condicio.
Del resto nel paese di Acchiappa-citrulli le leggi vanno contro la logica, e la Vigilanza non fa che confermare l’illogica par condicio. Da cui discende anche l’altra faccenda “bizantina”. Dribblando la concorrenza con guizzo maradoniano, e sentendosi forte di un mandato non scritto ma potente, Bruno Vespa aveva proposto di gestire, chez lui, un faccia a faccia tra Meloni e Letta. L’Agcom, svegliata di soprassalto dalle urla degli esclusi, s’è ricordata d’avere un ruolo e ha spiegato che dacché “l’attuale legge elettorale” (blabla) “non prevede l’individuazione di un capo della coalizione”, il confronto a due non si può fare.
Ovviamente, nel paese reale, il confronto tra gli unici due che contano sarebbe nelle cose, e gli elettori gradirebbero. Ma è notevole che anche uno come Calenda, gran novatore, sia stato il primo a lamentarsi di “questa stucchevole telenovela Sandra e Raimondo”. Ma è ancor più paradossale vedere il Pd lamentarsi per l’applicazione di norma bizantina sì, ma che fu proprio la sinistra a imporre per mettere le briglie a un cavallo di razza della comunicazione politica. E le pastoie della par condicio sono state una prerogativa della sinistra per vent’anni. Ma Enrico Letta è un fuoriclasse del fuori-tempo, al dibattito con Meloni si presenterebbe con un completo marron. E sappiamo come andò a finire.