il commento

Un'Italia più stabile di come appare per resistere alle scosse

Claudio Cerasa

Le paure dei mercati hanno senso. Ma l’ottimismo di Draghi è motivato: ci sono un’agenda dei doveri ineluttabile e una abilità innata nel trasformare le fragilità in motori di affidabilità. Spunti sull’Italia futura

L’iniezione di fiducia trasmessa da Mario Draghi all’Italia durante il formidabile discorso tenuto mercoledì scorso al Meeting di Rimini ha avuto il merito di illuminare un punto spesso sottovalutato all’interno dell’agenda politica dell’Italia futura. Draghi, come sapete, ha detto in modo esplicito che l’Italia ce la farà a raggiungere i suoi obiettivi a prescindere da chi andrà al governo, e a prescindere,  cioè, era il sottinteso di Draghi, se al governo ci finiranno i sovranisti, i protezionisti o i populisti, e il ragionamento offerto a Rimini dal presidente del Consiglio completa in un certo senso un discorso  abbozzato dallo stesso Draghi alla fine di dicembre, quando, di fronte alla possibilità di transitare da Palazzo Chigi al Quirinale, il premier disse una frase simile, così riassumibile: non vi preoccupate, il lavoro iniziato dall’Italia andrà avanti a prescindere da chi sarà un domani al governo. In entrambi i casi, il ragionamento di Draghi poggia su un elemento di pragmatismo esplicito, svincolato dalle ideologie dei partiti: l’agenda dei doveri dell’Italia è molto fitta, gli impegni del Pnrr non permettono fughe dalla realtà, le eventuali fughe dalla realtà spingerebbero l’Italia nelle mani degli speculatori e per quanto i partiti possano essere irresponsabili nessuno sarà mai così irresponsabile da mettere a rischio un malloppo di finanziamenti europei pari a 212 miliardi di euro.

 

Accanto alla razionale, rigorosa e pragmatica agenda dei doveri sottintesa all’interno del discorso di Mario Draghi esiste però, in Italia, un’altra agenda meno sbandierata, meno esplicita e meno considerata che coincide oggi con un ulteriore e insospettabile punto di forza che caratterizza il tessuto politico del nostro paese. Un punto di forza che un tempo coincideva con un grande punto di debolezza e che nel corso degli anni, in particolare nel corso degli ultimi cinque anni, è divenuto un grande fattore di affidabilità dell’Italia: la sua instabilità. C’è stato un tempo in cui il sistema politico italiano – un sistema caratterizzato da un insieme di partiti deboli, da un susseguirsi di governi fragili, da un accavallarsi di maggioranze friabili – aveva la fama di essere inaffidabile, incapace di garantire la continuità programmatica, inadatto alle sfide della modernità.

 

E per molti anni abbiamo sentito ripetere fino all’ossessione il paragone tra sistemi stabili come quello tedesco, inglese e francese e sistemi instabili come quello italiano. La domanda era sempre la stessa: quanti premier ha avuto l’Italia negli stessi anni – sedici – in cui la Germania ha avuto solo un cancelliere? Oggi, invece, inaspettatamente, succede che l’Italia, mentre osserva le sue fragilità, si rende conto che alcuni punti di debolezza sono diventati punti di forza, capaci di alimentare, dentro  e fuori dall’Italia, dosi di ottimismo rispetto a quello che sarà il percorso dell’Italia del futuro. 


E dunque sì, il destino dell’Italia è decisamente incerto, la possibilità di avere un governo euroscettico alla guida di uno dei paesi più importanti del mondo crea timori, l’incompatibilità tra l’agenda dei doveri e quella sovranista genera preoccupazioni, ma al fondo vi è la consapevolezza, anche da parte di chi osserva l’Italia, che grazie alle sue debolezze è possibile che il nostro paese non perda la retta via. Debolezze come avere per esempio un debito pubblico molto alto, che è una condizione di fragilità che costringe però i governi di ogni colore a non fuggire eccessivamente dalla realtà. Debolezze come avere per esempio un differenziale di rendimento fra i titoli di stato italiani e quelli tedeschi così alto da costringere chiunque si ritrovi al governo a non ignorare la spinta dei mercati a non fuggire, oltre che dalla globalizzazione, dai propri impegni, dai propri contratti, dai propri vincoli. Debolezze come avere per esempio un sistema politico instabile, che è una condizione di fragilità estrema che consente però di avere la ragionevole speranza che alla fine anche le maggioranze più pericolose possano sgretolarsi affidandosi alla guida salda del capo dello stato.

 

Debolezze come avere per esempio un sistema dei partiti molto friabile, per così dire, che consente di avere la ragionevole speranza che, come dice spesso Matteo Renzi, in Parlamento possa essere utilizzato il defibrillatore nei momenti di difficoltà. Ieri il Financial Times ha segnalato il rischio concreto che i grandi fondi internazionali, nelle prossime settimane, scommettano sulla fragilità dell’Italia, nonostante la calma apparente che si respira da settimane sui mercati, e una volta che la figura di Draghi si allontanerà da Palazzo Chigi l’agenda dei doveri dell’Italia avrà un alleato formidabile capace di garantire la sua stabilità: la capacità di trasformare i suoi punti di debolezza in  punti di forza e la capacità, grazie a una virtuosa cultura del compromesso, di trasformare la sua strutturale instabilità in un sinonimo di insospettabile affidabilità.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.