la campagna elettorale
Calenda e Renzi a Milano: molti giovani, Europa e colpi al Pd
Reportage dall'affollatissimo lancio della campagna elettorale del terzo polo tra “Daje forte” di Calenda, “Viva la Vida” di Renzi (e dei Coldplay), gli applausi dei liberal-progressisti e la generale ammirazione per Mario Draghi
"Esclude che litigherà con Matteo Renzi dopo il voto?", chiedono a Carlo Calenda appena arrivato nel “cuore del design district”, come lo chiamerà poco dopo l’assessore milanese Alessia Cappello per l’apertura dell’evento di Via Tortona. “Dalla vita ho imparato a non escludere mai niente”, risponde il segretario di Azione. I due, Carlo Calenda e Matteo Renzi, appaiono per la prima volta insieme, da quando si sono alleati, sul palco del Superstudio per il lancio della campagna e di Renew Europe Italia, il gruppo macroniano al Parlamento europeo. “Qui troverete una politica di serietà, che non fa promesse strampalate”, contro i populismi, “di destra e di sinistra” dice Calenda. Si cercano voti di qua e di là.
Renzi e Calenda, il primo in giacca a cravatta, il secondo in camicia bianca, sono attorniati da ex Pd ed ex FI: Elena Bonetti, Mariastella Gelmini, Luigi Marattin, Ettore Rosato, Mara Carfagna. “Da Forza Italia si prende almeno il 2 per cento”, dice al Foglio l’onorevole Osvaldo Napoli, passato ad Azione. Ci sono più di 5.000 persone in sala – moltissimi giovani – e l’organizzazione si scusa con chi è rimasto fuori. Un fiorentino e un romano arrivano a Milano per parlare di lavoro. “Milano è un cuore produttivo del paese e il centro di una borghesia illuminata che non deve avere paura di chiamarsi tale”, dice Calenda al Foglio.
Dopotutto Beppe Sala è stato più volte indicato come padre collante del terzo polo, come l’indipendente capace di unire i forzisti non populisti con i dem anti-Conte. Appena avvenuto lo strappo tra Azione e Pb, è stato l'ex sindaco di Milano Gabriele Albertini a lanciare l’appello per la costruzione di un’alternativa liberale, in chiave antidestra e pro agenda Draghi. Anche Letizia Moratti è stata più volte evocata dal leader di Azione come “persona di grandissima qualità”. “Milano è la casa ideale per il nostro progetto riformista, è naturale che tutto parta da qui”, dice Giulia Pastorella, vice di Azione e candidata a settembre alla camera. Calenda si mette la giacca per il discorsone finale. Alza il pugno e inizia con “Daje forte”.
Sembra più ancorato al passato, a meccanismi retorici che vanno da Churchill alla prima Repubblica, parla di voler ridare vita a famiglie politiche “che ci siamo dimenticati”, i popolari, i repubblicani, i liberal-progressisti. Invita tutti a rileggere Mazzini, continua a ripetere che ha battuto Raggi a Roma. Renzi invece, che entra sulle note di “Viva la Vida” dei Coldplay, sembra più saggio e rilassato da quando non è più il frontman e fa un discorso che esplode in una standing ovation, un discorso iper-europeista verso il futuro, un futuro dove magari tornerà a fare il leader. “Dopo i padri fondatori dell’Europa è il momento dei figli sognatori dell’Europa”, dice.
Renzi attacca i partiti del “no”, Calenda il Pd che si è alleato con Di Maio – “Letta ha perso il diritto di essere liberal-progressista” – ed entrambi attaccano chi ha fatto cadere il governo. Gelmini parla di innocenti e colpevoli, e fa i nomi di Salvini e Berlusconi. Più che un pollaio con due galli, come scriveva Ceccarelli, davanti alla platea milanese Renzi e Calenda sembrano le teste di un’aquila bicefala col corpo di Draghi, nome più evocato di quello della Meloni, “L’italiano più illustre del mondo”, dice il leader di Azione.