Il colloquio
"Troppe ipocrisie trasversali sull'Ucraina", ci dice Enrico Letta
“La guerra non è più nei trend, ma in Ucraina si decide il nostro destino”. La linea del segretario del Pd
Sotto il frastuono elettorale, quello delle bombe. “Ché forse qualcuno tende a dimenticare, qualcun altro vorrebbe invece che gli altri la dimenticassero, per mettere in ombra anche le proprie contiguità con Putin”. E però, “la guerra è ancora lì, col suo carico di atrocità e con le scelte nette che richiede a noi tutti”. Enrico Letta ne è convinto: forse la faccenda ucraina non muove più gli umori della gente, non commuove e non strazia come avvenne nei primi mesi, “ma sta ancora lì a imporci di scegliere da che parte stiamo”. Il Pd, per il suo segretario, il lato della barricata lo ha scelto fin dal primo momento, e non rinnega nulla: “Dal lato della resistenza, dal lato di Zelensky, dal lato dello stato di diritto e della libertà”. Anche ora, dunque, ora che in Europa la guerra sembra più una rogna che ci costringe a pagare bollette più salate, e a guardare con ansia all’inverno che verrà, Letta non tentenna: “Le ragioni per cui scegliemmo di sostenere il popolo ucraino stanno ancora tutte lì”.
Richiama insomma i suoi all’ordine, il generale Enrico. Anche quelli, e non sono pochi, che segnalano come il tema dell’Ucraina non dimostri un grande appeal elettorale. “Non importa”, dice Letta. “E anzi, vedo semmai delle titubanze preoccupanti, in giro”. Matteo Salvini, certo, è sempre il più esplicito, nelle sue ambiguità. Ma i dubbi sulle sanzioni, la critica esplicita alle sanzioni, perfino, non riguardano solo la Lega. “C’è una grossa pulsione nel centrodestra, che attraversa anche Forza Italia, che spinge a rivedere al ribasso le sanzioni. Del resto Silvio Berlusconi resta, per sua stessa ammissione, il più grande amico di Putin”. E non a caso, ricordano al Nazareno, fu il suo governo, nel 2008, ad avviare quegli accordi commerciali con Mosca che innescarono la spirale per cui la nostra dipendenza dal gas del Cremlino si è fatta sempre più significativa, negli anni. Senza contare, poi, che anche Giorgia Meloni mostra, a giudizio del segretario dem, qualche ambiguità di troppo. “Perché il suo migliore alleato europeo, quello che dovrebbe indicarci la via sullo stato di diritto e sui diritti delle donne, quel Viktor Orbán accolto con tutti gli onori ai congressi di FdI, è lo stesso che per mesi ha tenuto in ostaggio il Consiglio europeo sulle sanzioni a Putin. Ed è lo stesso che, guarda caso, ha rotto la compattezza dell’Ue rinnovando accordi sull’energia con Mosca, pochi giorni fa. Non ho sentito alcun commento da parte di Meloni”, lamenta Letta.
E poi, ovviamente, ci sono le solite convergenze parallele del grilloleghismo, la solita corrispondenza di vedute tra Salvini e Giuseppe Conte. Ed è del resto lì, dalle capriole orsiniane del capo grillino, dalle sue critiche pretestuose all’invio di armi a Kyiv, che Letta individua, tutt’ora, l’inizio di una divaricazione tra il Pd e il M5s che si è poi esasperata con la crisi di governo. E siccome ne ha per tutti, l’ex premier ricorda di come “anche Calenda sull’ingresso dell’Ucraina in Ue si diceva contrario”. Insomma, “da più parti cresce un’ambiguità fastidiosa”. Che non tiene conto dello stato reale delle cose. L’invasione lanciata è ancora in atto. C’è ancora un paese libero e sovrano che è stato attaccato militarmente, nel 2022, in Europa, da chi nel 2022, in Europa, pretende di riscrivere le carte geografiche a colpi di carrarmato. “E noi ci giriamo dall’altra parte, facciamo spallucce, solo perché gli spin doctor ci hanno detto che la guerra non è un argomento che tira in campagna elettorale, non è un hashtag che raccoglie like?”.
E sta qui il senso dello sforzo che Letta ha chiesto anche ai membri della sua segreteria: a Lia Quartapelle, responsabile Esteri; a Enrico Borghi, che ha le deleghe sulla Sicurezza; a Chiara Gribaudo, che gestisce il Dipartimento Giovani, e insomma un po’ a tutti i candidati. Spiegare, raccontare, aiutare a capire la delicatezza della sfida in atto. “A Kyiv, in Crimea, nel Donbas, si combattono molte battaglie”, ripete il segretario. “Quella del popolo ucraino per la sua indipendenza. Quella dell’Europa per la democrazia. E quella dell’Italia, all’interno dell’Europa e della sua alleanza atlantica, per la sua credibilità internazionale”. La linea netta, giustamente intransigente di Mario Draghi, non può essere smentita o contraddetta per logiche di propaganda. “Ne va della nostra serietà nel mondo: non si rinnegano valori, alleanze, impegni, perché cambiano i sondaggi. Non è da paese maturo, fondatore dell’Ue e membro storico del G7 e della Nato”.
Quanto alla crisi energetica, infine, anche qui c’è “troppa ipocrisia in giro”. Quella di chi, ad esempio, lascia intendere che il prezzo del gas sia alto “per colpa della guerra”, quasi fosse un elemento della natura, “e non colpa di chi la guerra l’ha scatenata”, e cioè Putin. E del resto il paradosso è evidente nell’atteggiamento di Meloni e Salvini. “Perché anche sulla crisi energetica si rinnova il fallimento del sovranismo”. Nel senso che non c’è alcuna reale soluzione, al di là di misure tampone, che non sia europea. “Dove sono i lepenisti nostrani che dicevano che le patrie si salvano da sole, senza l’ingombro dell’Europa?”.