No Vax, filo Putin e anti Draghi. "Ecco perché lascio la Lega". Parla Raffaele Volpi

Valerio Valentini

Trent'anni di militanza, già sottosegretario e presidente del Copasir. "Ho dato consigli su politica estera, Russia e vaccini: sempre rimasto inascoltato. Entrare nel governo Draghi doveva essere un'occasione per costruire una credibilità internazionale, e invece siamo andati contro i nostri stessi ministri". Le ragioni dell'addio di uno dei colonnelli del Carroccio

Le parole calibrate con precisione, il dispiacere cesellato in ragionamenti che devono essere stati ripensati molte volte, in questi ultimi giorni. Ma la scelta è netta, irrevocabile. “Lascio la Lega dopo trenta anni”. Raffaele Volpi. Fuori dal Carroccio. Si stenta a crederlo. “Lo faccio ora perché nell’esaurirsi dell’impegno parlamentare finisce il vincolo più sacro della democrazia ovvero quello con gli elettori che mi hanno votato. E ancora lo faccio ora perché voglio togliere qualsiasi equivoco su mie eventuali aspettative derivanti dal voto del 25 settembre”.

Leghista di lunghissimo corso, ma di estrazione democristiana. Toni sempre equilibrati, stile istituzionale. Volpi è rimasto tagliato fuori dalle liste elettorali del suo partito. Matteo Salvini non lo ha voluto. E però non sta solo qui, il motivo della rottura. “La mia è una decisione sofferta ma che deriva da un disagio, che peraltro so non solo mio, che da un po’ provo ma che per lealtà e rispetto per la comunità che mi ha accompagnato per tanti anni non ho fino ad ora espresso”.

Non è uno dei tanti, Volpi. E non solo perché è dalle sue mani che è passata, negli anni scorsi, molta della strategia che ha portato la Lega a mettere radici anche al centro-sud. E’ stato sottosegretario alla Difesa nel Conte I, quello di marca gialloverde: il primo leghista nella storia a varcare coi galloni di uomo di governo Palazzo Baracchini. Poi presidente del Copasir nel Conte II. “In entrambi i miei incarichi ho cercato di dare autorevolezza e credibilità alle istituzioni che rappresentavo e sempre nell’interesse dell’Italia. Da presidente ho guidato il Copasir in uno dei momenti più bui della nostra storia, quello della pandemia, portando il Comitato a essere centrale tra i presìdi democratici del paese”. 

Una stagione, quella dei lockdown, che Volpi ha trascorso con un certo disagio, nel suo partito. “Da bresciano ho vissuto il Covid nel suo epicentro. perdendo anche alcuni amici. Ho sostenuto i provvedimenti difficili e a volte impopolari ma che ho ritenuto utili per arginare il virus. Proprio in quel frangente non ho potuto apprezzare le posizioni, a volte opache, del mio partito, che non ha mai voluto arginare alcune voci interne, minoritarie ma rumorose, che ammiccavano a No vax e negazionisti fino al punto di partecipare alle loro manifestazioni”.

Poi il precipizio della guerra in Ucraina, il suo sforzo nel cercare di tenere dritta la barra del Carroccio sul terreno della geopolitica. Anche qui con molta fatica, anche qui con la sensazione che tutto fosse un po’ inutile. “Dall’osservatorio privilegiato del Copasir ho cercato di trasferire ai vertici del partito, sempre nel perimetro del lecito, valutazioni di scenario, dalla Libia al Mediterraneo, dai rapporti con gli alleati alla guerra in Ucraina, fornendo elementi per analisi di geopolitica. Purtroppo nelle poche brevi occasioni in cui ho potuto avanzare le mie tesi, sempre con spirito di servizio, ho percepito solo un distaccato disinteresse”.

Che poi forse sta qui, l’elemento politico più rilevante, alla base delle scelte di Salvini. Al di là delle riconoscenze tradite, delle promesse non rispettate, degli sgarbi che sempre s’accompagnano alla definizione delle liste elettorali, è difficile non notare come dagli elenchi delle candidature della Lega siano stati sacrificati molti degli atlantisti del partito. Quelli, per capirci, che le dichiarazioni di stima a Putin, o i viaggi a Mosca con Antonio Capuano e Sergej Razov, non li hanno mai graditi. “Io non posso che confermare la mia convinta visione atlantista. Una visione che non si limita, come pensa qualcuno, all’acronimo Nato, ma investe una ampia condivisione di valori che sono l’essenza stessa dello spirito dell’occidente e che non possono essere negoziabili. Sulla feroce aggressione della Russia all’Ucraina non ho quindi potuto apprezzare certe ambiguità e certi distinguo, a partire da quelli sugli aiuti militari da inviare a Kyiv. Tentennamenti incomprensibili, essendo convinto che lì vi sia una frontiera di valori, di libertà e di legalità che vada difesa”.

Inutile chiedere un giudizio, allora, sulla decisione di sfiduciare Draghi da parte di Salvini. “Ho sostenuto l’ingresso della Lega nel governo Draghi convinto che oltre a essere una necessità per l’Italia fosse anche una occasione per dimostrare che il partito avesse raggiunto una spendibile autorevolezza nazionale ed internazionale. Ma mai mi sarei immaginato che fin da subito si sarebbe palesato, in modo più o meno evidente, un atteggiamento dicotomico tra segreteria e delegazione al governo: sino al punto di non pubblicizzare quasi le attività e i corposi provvedimenti varati dai nostri ministri; fino al punto di partecipare, poi, alle manovre che hanno determinato la caduta del governo stesso”.

Insomma è un certo modo di intendere la Lega, il suo ruolo, la sua missione, che non è più compatibile con quello che la Lega di Salvini è, e si ostina a essere. “Lascio la Lega con la sofferenza di chi ha percepito un progressivo distacco, quasi un abbandono politico e personale, una impossibilità di poter dare un contributo. Lascio con la sensazione di chi sente di non far più parte di un progetto e non per propria scelta”. Una Lega irredimibile, dunque, anche al di là della stagione salviniana? “Questo non spetta a me dirlo, ormai. Non più. Ho fatto una scelta che impone, ora, distacco e serietà. Non torno indietro. Lo devo per onestà intellettuale ai tanti amici che lascio nella Lega ma pure ai tanti con cui ho lavorato, anche avversari politici, e con i quali è nata reciproca stima”.
 

Di più su questi argomenti:
  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.