Foto di Giuseppe Lami, via Ansa 

l'intervista

Giachetti in love: “Giorgia Meloni è mia amica, ma farò di tutto per batterla”

Michele Masneri

Litigate e schermaglie amorose. "Tua figlia devi chiamarla Roberta come me", diceva lui. Ora sostiene: "L'idea di lei premier non mi fa paura. Né mi fa schifo". Ma poi ribadisce: "Un governo con lei cade in 10 giorni"

"Ci siamo conosciuti quando lei è entrata in Parlamento, io ero segretario d’Aula e lei vicepresidente a 27 anni”, dice al Foglio Roberto Giachetti, deputato di lungo corso, ex radicale, poi Pd, oggi candidato con Italia viva, considerato un mago delle procedure parlamentari. “Gianfranco Fini mi raccomandò: lei è bravissima, non me la massacrare”. Lei, la bravissima, era Giorgia Meloni,  e tra i due c’è un’amicizia di antica data. Forse qualcosa di più.

 

Lei nel suo celebre libro Io sono Giorgia lo descriveva così: “Intelligente, spiritoso, cattivo quando deve essere e soprattutto una persona libera”. Giachetti ricambiò. “Parole che mi fanno piacere perché confermano reciprocità e rispetto di stima e amicizia”. Meloni disse poi che era l’unico che avrebbe rubato alla squadra avversa. Quando Giachetti stette male lei tuittò: “Daje Robe’”. Quando erano sfidanti per il comune di Roma era tutta una schermaglia amorosa. “Se vinco ti faccio tagliare la barba Robe’”. “Tua figlia devi chiamarla Roberta, come me”, rispondeva lui. Ancora lei: occhio che Giachetti è un farfallone, disse ai tempi della disfida comunale. Insomma, Giachetti, solo un’amicizia?

 

Lui ride, al telefono. Vabbè, però sia lei che Giorgia avete detto che il primo bacio l’avete dato al Gianicolo. “Ma io probabilmente quando Giorgia non era ancora nata”. E tutti e due bazzicate la Garbatella. “Idem, ma lei era ancora in culla”. “Poi vede, io non ho niente contro le storie d’amore nate da diversi schieramenti, come quella tra Boccia e De Girolamo e Ravetto con Dario Ginefra del Pd. Ma non è proprio questo il caso”. Però Giorgia la chiama spesso. “Certo. È una delle due persone che mi chiamano con frequenza da quando sono stato male, da quando ho avuto il tumore. L’altra è Renzi. Poi, chiariamolo, politicamente io mi sono sempre battuto e sempre mi batterò per sconfiggerla. L’ho fatto in Aula, l’ho fatto quando era ministra, l’ho fatto da candidato sindaco di Roma quando lo era anche lei nel 2016. E quando fa certe cose la chiamo pure io e gliene dico quattro. Quando ha messo online il video della donna stuprata, quando ha fatto il comizio a Vox, quando parla delle devianze la chiamo e le dico: ahó, datte ’na regolata”.

 

Però… “Però l’idea di Giorgia premier non mi fa paura. Né mi fa schifo. Se la mettiamo sulla mancanza di competenza dico: abbiamo avuto Conte, vi rendete conto, e non possiamo avere Giorgia?”. Sì, ma le sue classi dirigenti. “Ma La Russa ha fatto il ministro. Abbiamo avuto la Castelli, quella dei condizionatori, quella che voleva spiegare a Padoan l’economia. La Russa in confronto alla Castelli è Churchill”. A proposito di Churchill, anche lei come Calenda è pronto ad aprire a un governo di unità nazionale con la Meloni? 

 

“Mettiamola così: se dalle elezioni venisse fuori un risultato incerto e ci fosse bisogno di un governo di unità nazionale, e se lei ci stesse, perché bisogna vedere se ci sta, no, la cosa non mi spaventa affatto”. Eh, mo’ non ci sta. “Il fatto è un altro”, dice Giachetti. Quale? “Che un governo con lei premier cade dopo dieci giorni”. E perché? “Per i suoi alleati. Per loro il fatto che possa essere una donna a guidare il governo li fa andare fuori di testa, li manda al manicomio. Non sono pronti ad avere la loro Thatcher”. Thatcher un po’ fascistona-orbaniana.

 

“Ma in passato abbiamo fatto un governo con la Lega, su. Non credo che Meloni possa spaventare più della Lega. E poi sui diritti, sulle questioni lgbt, io glielo dico a Giorgia, che deve rivedere alcune cose, ma mi sembra che lo stia facendo. Del resto se il Pd ha cambiato idea sul Jobs act, pure lei cambierà idea sui diritti”. Senta Giachetti, ma è vero, come tutti dicono, che Meloni ha due facce? Quella “regina di Coattonia”, che va di moda in questi giorni, o anche “pesciarola”, e poi quella privata molto diversa? Quella volutamente trash e pop e poi quella reale? Insomma, ci è o ci fa?

 

Pesciarola o non pesciarola, lei si è inventata un partito che dal 4 è arrivato al 25 per cento. Donna, in un partito di tutti maschi. Lei è così: urla, strilla. Ma sa qual è una grandissima dote che ha lei e che ci accomuna? L’autoironia. Lei è una caciarona romana, come sono pure io. Ecco, quello è un tratto vero di Meloni, e che secondo me fa la differenza”.

  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).