Quale scegliere?
Le mille sfaccettature della democrazia
Le elezioni si avvicinano. Che cosa ha detto chi si è battuto per la democrazia rappresentativa contro i dispotismi, pur sapendo che essa non è rappresentativa e forse non è nemmeno tanto democratica. Un girotondo senza età
Il 25 settembre si andrà a votare. Si ripete il rito della democrazia. Si ripete la “grande finzione della rappresentanza”. Sarà eletto un Parlamento “fucina di chiacchiere”, come si diceva una volta? La chiamiamo democrazia, ma usiamo a sproposito un termine nato in Grecia, perché quella greca era una democrazia assembleare e partecipativa, non rappresentativa. Il motore della vita democratica era l’assemblea aperta ai cittadini maschi adulti liberi, che aveva il compito di affidare le varie cariche per sorteggio. Solo il 10 per cento dei 400 mila abitanti dell’Attica era partecipe della vita assembleare e politica della città, come ha osservato di recente Donato Loscalzo nella sua introduzione al volume Democrazia. La nascita, il consolidamento, i consensi, primo tomo di un’opera a cura di Piero Boitani sulla democrazia in Grecia, in più volumi, frutto dei lavori della Fondazione Valla, edito da Mondadori nel marzo di quest’anno.
Della nostra democrazia siamo tutti scontenti tanto che due autori italiani. Leonardo Morlino e Francesco Raniolo, nel volume su Come la crisi economica cambia la democrazia. Tra insoddisfazione e protesta, edito dal Mulino nel 2018, si chiedevano come democratizzare la democrazia, osservando che le divisioni politiche hanno perso il loro ruolo strutturante, si supplisce all’incertezza rivolgendosi a un leader, la democrazia assume una connotazione sempre più plebiscitaria, c’è un declino della partecipazione elettorale e della “membership” partitica, si registra una crescita della volatilità elettorale. Prima di Morlino e Raniolo, un secolo fa, sulla crisi della democrazia si erano soffermati Hans Kelsen, in due scritti, che sono stati ripubblicati a cura di Mario G. Losano con il titolo Due saggi sulla democrazia in difficoltà (1920 e 1925), Aragno editore, 2018 e Carl Schmitt, in La condizione storico-spirituale dell’odierno parlamentarismo, Giappichelli, 2004.
Insomma, sono tanti quelli che dubitano che la democrazia sia davvero democratica. Sentiamo che ne pensano coloro che alla democrazia hanno dedicato le maggiori riflessioni.
Socrate. La costituzione democratica rischia di essere la più bella delle costituzioni: come un mantello dipinto, istoriato di tutti i fiori, così anche questa, istoriata di tutti i costumi, potrebbe sembrare la più bella. E forse anche questa, come i ragazzi e le donne ammirano le cose variopinte, i più la giudicherebbero bellissima.
Kelsen. Non dobbiamo dissimularci che siamo oggi un poco stanchi del Parlamento, se anche non a tal punto da poter parlare di una crisi, di una bancarotta o addirittura dell’agonia del parlamentarismo, a causa della estraneità del popolo.
Schmitt. Una volta perduta la fede che da articoli di giornali, da orazioni comiziali, da discussioni parlamentari possa nascere la giusta legislazione politica, il Parlamento, secondo la linea di sviluppo che ha seguito finora, ha perduto il suo significato e la sua base teoretica.
Kelsen. E’ vero che il momento decisivo per l’orientamento e il contenuto della volontà popolare è generalmente anteriore a quello in cui essa viene, col procedimento democratico, creata, ed ha invece carattere prettamente autocratico: la volontà individuale dei capi viene imposta alla volontà dei molti. Tuttavia, la democrazia mette la conquista del potere in pubblica gara, con la probabilità che la vittoria in questa competizione arrida veramente a chi possiede le qualità di capo. Anche se debbo riconoscere che questo merito della democrazia, di garantire la miglior scelta dei capi, è in contraddizione con la natura stessa della democrazia, il cui ideale è l’assenza di capi.
Madison. Noi, quando cominciò la rivoluzione americana, avevamo detto che si doveva chiamare repubblica, non democrazia: quest’ultima è una parola usata a sproposito, che ha acquisito una fama usurpata. Doveva chiamarsi repubblica ispirata a princìpi democratici perché la democrazia consiste in realtà in larga misura in una cooptazione, piuttosto che in una elezione: la democrazia – direbbe Aristotele – è piuttosto un’oligarchia corretta da periodiche elezioni. Verrà una costituzione, un giorno, nella quale sarà scritto che la sovranità appartiene al popolo e che questo la esercita nelle forme e nei limiti della costituzione stessa; quindi, un sovrano vincolato nell’esercizio della sovranità, nel senso che può esercitarla solo in pochi casi limitati. Quante contraddizioni!
Kelsen. Ma esistono alternative? Per lo Stato moderno la democrazia nel senso greco, la democrazia diretta, cioè la formazione della volontà statale nell’assemblea del popolo, è praticamente impossibile. Non è possibile l’esercizio diretto della funzione legislativa per opera dell’intero popolo riunito in assemblea, se non quando le condizioni economiche e culturali siano estremamente semplici e i compiti dello Stato straordinariamente limitati. Inoltre, perché il popolo possa governarsi da sé manca ciò che è sopra ogni cosa indispensabile per poter esercitare una sovranità, l’unità. Proprio per questo, per supplire a questa lacuna, esistono i partiti e non è più possibile respingere l’idea di un controllo permanente dei deputati da parte di un gruppo di elettori organizzato in partito politico. La possibilità tecnico-giuridica di esercitare un controllo di questo genere esiste, e un contatto permanente, garantito dalla legge, tra elettori e deputati varrebbe a riconciliare le masse col principio parlamentare. La irresponsabilità del deputato di fronte ai suoi elettori, una delle principali cause dell’avversione contro l’istituto parlamentare, non è un elemento essenziale e inseparabile dal sistema parlamentare.
Lenin. In luogo di un parlamento unico, nato dalle elezioni generali, molto meglio un sistema di numerosi parlamenti sovrapposti a piramide che noi chiamiamo consigli o soviet, ma che non sono altro che corpi rappresentativi. Quando ogni singola azienda economica, quando la fabbrica, l’officina, la comunità si trasformano in corpi elettorali nei quali gli aventi diritto al voto sono in quotidiano strettissimo contatto perché uniti dal lavoro e dalla vita in comune, e quando ognuna di queste unità invia deputati ai soviet locali e questi al soviet provinciale e poi quest’ultimo al Parlamento supremo, e questo delega a un comitato esecutivo le funzioni legislative ed esecutive, è assicurata una volontà popolare continua. Questa è rafforzata dalla breve durata del mandato e dalla possibilità di revocare in qualunque momento i deputati inviati dal popolo nei diversi soviet e quindi dalla conseguente loro completa dipendenza dagli elettori, garantendo così un contatto tra elettori ed eletti e assicurando il rispetto della volontà popolare.
Bottai. Tutto questo non garantisce la presenza di competenti nei vari campi legislativi che sarebbe, invece, assicurata da parlamenti tecnici, dal corporativismo.
Kelsen. Il limite del corporativismo, sta, però, nel fatto che la decisione ultima sui conflitti di interessi tra i gruppi corporativi finisce per essere deferita a un’autorità estranea al principio corporativistico e quindi o a un autocrate, oppure ad un parlamento più politico. Ecco perché un’organizzazione a base corporativa non potrà mai sostituire per intero il parlamento democratico, ma potrà al massimo affiancarsi a questo.
Popper. Siamo realisti. Le democrazie non sono governi del popolo, bensì, prima di ogni altra cosa, istituzioni attrezzate contro una dittatura. La cosa più importante di una forma democratica di governo consiste nel permettere di licenziare il governo senza spargimento di sangue, in modo che un nuovo governo assuma le redini del comando. Quindi la democrazia non è il governo del popolo, ma il giudizio del popolo.
Burke. Il Parlamento non è un congresso di ambasciatori, che rappresentano interessi diversi e in conflitto, ma un’assemblea deliberativa di una nazione con un solo interesse, quello del tutto.
Condorcet. Il popolo non sceglie i suoi cosiddetti rappresentanti per esprimere l’opinione del popolo stesso, ma per consentire ai cosiddetti rappresentanti di esprimere le proprie opinioni.
Isocrate. Qualunque sia il tipo di reggimento ispirato a principi democratici, i tratti positivi sono chiari: le elezioni agli incarichi dei più abili e il popolo sovrano su di questi.
Tucidide. Anche la città come scuola.
Pericle. Anche l’accesso alle cariche sulla base del merito.
Erodoto. Nonché l’isonomia, l’eguaglianza di fronte alla legge, assicurata dal sorteggio.
Montesquieu. La democrazia consiste anche nella separazione dei poteri, in modo che questi non siano concentrati nelle mani di una sola persona anche se la separazione dei poteri può essere interpretata in vari modi: come un argine contro ogni sconfinamento del principio democratico dal campo strettamente legislativo, oppure come un modo per assicurare al monarca la possibilità di prevalere sulla volontà del popolo concentrata nel Parlamento.
Mill. E poi c’è la forza della legge: prevale su quella dell’esecutivo? Lo stesso Zar è impotente dinanzi ai burocrati: può mandare ciascuno di loro in Siberia, ma non può governare senza di loro né contro la loro volontà.
Abbiamo riportato quanto dissero o scrissero alcuni degli spiriti magni che si interessarono della democrazia, o coloro che ne hanno riassunto o contestato il pensiero. Il dialogo potrebbe continuare, come è continuato per circa 2500 anni, tra persone tanto lontane tra di loro, ma egualmente interessate a evitare il dispotismo e le dittature. Ed egualmente convinte che si battevano per la democrazia rappresentativa ben sapendo che essa certamente non è rappresentativa (ai deputati che eleggiamo non diamo un mandato e loro non sanno neppure chi li ha votati) e quasi sicuramente non è democratica (il popolo, il “demos”, non comanda, autorizza altri a comandare).