L'ex premier

La sesta versione di Conte: quella del sì alle armi e dei meriti sul dl Aiuti

Marianna Rizzini

Si tratta, in questa sorta di strategia dello zircone, di far apparire sempre diamante la propria opera e sempre patacca quella degli altri, anche quando è vero il contrario: dalla fine del governo Draghi ai decreti Sicurezza

Non il premier Mario Draghi, ma l’ex premier Mario Monti, nel 2019, su La7, a “L’aria che tira”, aveva provato a scandagliare animo e mosse di Giuseppe Conte, allora a capo del suo secondo governo, quello rossogiallo: “Prima di tutto c’è il Conte zero, professionista e professore”, aveva detto Monti, “poi è venuto il Conte 1, poi il Conte bis il giorno del discorso contro Salvini, e adesso arriva la terza incarnazione governativa di Conte”. Ma poi si è avuta anche la quarta, quella del Conte che entra nella maggioranza che sostiene Draghi, e la quinta, il Conte che il governo Draghi lo butta giù.

 

Ma è la sesta versione di Conte, quella di oggi, che fa brillare per così dire lo zircone, la pietra che sembra un diamante ma non lo è: ed ecco che di fronte al leader M5s in campagna elettorale lo spettatore, e l’elettore, è costretto a chiedersi di continuo se la sparata del medesimo avvocato e professore appartenga alla categoria dei diamanti o degli zirconi. Fatto sta che domenica scorsa, davanti a Lucia Annunziata, su Rai3, durante la puntata di “Mezz’ora in più”, Conte – l’uomo che sulla contrarietà alle armi all’Ucraina ha iniziato la campagna elettorale ufficiosa a governo Draghi ancora in piedi, e che nel maggio scorso si ergeva contro il reinvio – ha detto forte e chiaro non soltanto che è orgoglioso delle vittorie della resistenza ucraina, ma anche che è sempre stato d’accordo con l’invio di aiuti militari.

 

Ed è successo che durante un’intervista con questo giornale, presso lo studio di Utopia, due giorni fa, lo stesso Conte abbia confermato se stesso smentendosi a metà: “Vogliamo capire quale sia la nostra strategia, il nostro obiettivo non deve essere sconfiggere militarmente la Russia, ma lavorare a una soluzione politica e a un negoziato di pace. Nuovi invii di armi in tempi di recessione economica non sono opportuni”. E a telecamere ormai spente, Conte ha poi ammesso che fu “un errore” firmare i decreti sicurezza ai tempi del suo primo governo, decreti-bandiera dei gialloverdi.

 

D’altronde già nel 2021, intervistato dal Corriere della Sera, li aveva criticati, buttando la croce addosso al primo indiziato e promotore Matteo Salvini: “I decreti sicurezza hanno messo per strada decine di migliaia di migranti dispersi per periferie e campagne”, diceva l’ex premier nell’agosto di un anno fa: “Salvini da ministro dell’Interno sui rimpatri e sull’immigrazione ha fallito”. 

 

Ma non si tratta di essere uno, nessuno e centomila né di passare all’abito “décontracté” con scarpa da ginnastica con cui improvvisamente Conte è stato visto in questi giorni di campagna elettorale, amore fugace poi rinnegato per tornare alla tradizionale pochette (“ma oggi non si è vestito da Steve Jobs?”, gli ha detto Lucia Annunziata, rivedendolo appunto abbigliato da Giuseppe Conte). E non si tratta neanche di fare distinguo sui vaccini (“obbligo morale e civile”, diceva Conte un anno fa; “obbligo vaccinale sbagliato”, diceva il weekend scorso alla festa del Fatto).

 

Si tratta però, in questa sorta di strategia dello zircone, di far apparire sempre diamante la propria opera e sempre patacca quella degli altri, anche quando è vero il contrario. Specie sulla fine del governo Draghi, com’è accaduto a “Quarta repubblica”, con Conte intervistato da Nicola Porro, due giorni fa, e sugli schermi di Agtw, con Conte solista, sei giorni fa. Conte ora a tutti dice che non lui, e non i Cinque stelle, con Salvini, sono i veri responsabili della caduta del governo. Ma che la condanna se la sono scritta da soli gli altri:  prima il Pd, sul tema inceneritore, tradendo “il punto 9” del programma di governo rossogiallo, e poi Draghi stesso, “non intervenendo” contro Luigi Di Maio che dava di “anti-atlantista” al M5s. E lui?

 

Lui fa la faccia del passante stralunato, parla di vocazione pacifista (“siamo nati il giorno di San Francesco”), loda se stesso sulla gestione della pandemia (“l’evento più drammatico dal dopoguerra a oggi”), agita lo spauracchio del caro-bollette, si attribuisce con una giravolta (ieri) incredibili meriti sul dl Aiuti bis (“trovata la soluzione grazie a noi, dovrebbero chiederci scusa”), nonostante il precedente muro in area Superbonus. Infine guarda dritto oltre la telecamera e si sistema la rediviva pochette, accusando nel contempo Draghi di preferire il riarmo all’energia (“l’ho implorato di non lasciarsi suggestionare dalla corsa al riarmo e discutere le misure…”). “Prestigiatore”, “trasformista”, gli dicono dal Pd. “Questo Pd”, specifica tuttavia Conte, come a preparare la strada alla prossima piroetta. Ma se gli dicono che dal Pd Andrea Orlando vorrebbe tutti in una grande alleanza lui che fa? Nicchia. 

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.