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Masha, Orso, Putin e Salvini

Finanziamenti russi, ecco tutte le domande che Meloni ha scelto di non fare a Salvini

Claudio Cerasa

Per capire quanto la Lega è compromessa con Putin non serve parlare di ciò che non si sa (i soldi), ma è sufficiente osservare ciò che è già alla luce del sole

La notizia la conoscete: martedì sera, una nota interna dell’intelligence inviata dal Dipartimento di stato americano alle sue ambasciate e ai suoi consolati ha accusato la Russia di aver investito, dal 2014 ai nostri giorni, circa trecento milioni di dollari per influenzare politici e rappresentanti di governo in più di venti paesi in giro per il mondo, tra cui molti in Europa.

 

 Nessuno sa, nel momento in cui scriviamo, quali sono i paesi europei eventualmente coinvolti e quali sono i partiti europei eventualmente coinvolti, ma per mettere le mani avanti, tra martedì e mercoledì, c’è un politico, in Europa, che ha reagito in malo modo alla nota dell’intelligence e quel politico, come avrete capito, si chiama Matteo Salvini, che cadendo dalle nuvole si è chiesto, smarrito, perché proprio tutti, dopo aver letto la notizia, abbiano pensato a lui. Salvini, dunque, ha fatto di tutto per allontanare ogni sospetto dalla sua Lega. Ha detto di essere pronto a querelare chiunque si permetta di associare il nome della Lega ai soldi. E, ricordando probabilmente i giorni festosi passati a manifestare anni fa a favore di Putin, sulla Piazza Rossa, si è sentito in dovere di dire che “l’unica cosa che portai a casa da Mosca quando andai per lavoro fu per mia figlia un pericoloso e sovversivo personaggio dei cartoni: Masha e Orso”.

Salvini, naturalmente, va creduto quando dice di non aver mai preso un rublo dalla Russia e va creduto anche quando dice di non essere stato a conoscenza, anni fa, del famoso incontro, ancora oggetto di indagini alla procura di Milano, tra Gianluca Savoini, leghista a cui Salvini era molto legato, e altre cinque persone, italiane e russe, presso l’hotel moscovita Metropol per organizzare una compravendita di tre milioni di tonnellate di gasolio. Il problema, quando si parla del rapporto di Salvini e la Russia, è che ciò che risulta interessante analizzare non ha a che fare con quello che non sappiamo ma ha a che fare semplicemente con quello che sappiamo. E basterebbe quello per spiegare perché ogni volta che in Italia si discute di rapporti tossici costruiti dalla Russia con la politica italiana dopo il 2014, dopo l’occupazione russa della Crimea, si pensa sempre a lui: a Matteo Salvini.

E’ stato Salvini a indossare magliette con la faccia di Putin sulla Piazza Rossa di Mosca e al Parlamento europeo. E’ stato Salvini a dire di preferire il presidente russo a quello italiano. E’ stato Salvini a fare incessantemente eco agli appelli di Putin per porre fine alle sanzioni alla Russia in seguito all’annessione della Crimea. E’ stato Salvini a dire di ritenere Putin uno dei migliori uomini di governo al mondo. E’ stato Salvini a dire che Putin  è “un uomo di governo stimato e stimabile” (15 febbraio 2020). E’ stato Salvini a dire che “io qua a Mosca mi sento a casa mia mentre in alcuni paesi europei no” (20 ottobre 2018).

E’ stato Salvini a dire che “uomini come Putin, che fanno gli interessi dei propri cittadini, ce ne vorrebbero a decine in questo paese” (10 luglio 2018). E’ stato Salvini a dire “meglio la Russia di Putin di questa Europa” (15 marzo 2017). E’ stato Salvini a dire che “chi gioca contro Putin è un deficiente” (dicembre 2014). E’ stato Salvini a dire che “preferisco Putin all’Europa, non ci sono dubbi (marzo 2015). E’ stato Salvini a dire “averne dieci di Putin in Italia, metterebbe un po’ di ordine” (febbraio 2017). E’ stato Salvini a dire di credere “che la Russia sia molto più democratica di come è l’Unione Europea così come è impostata” (marzo 2015). E’ stato Salvini a dire che “se devo scegliere tra Putin e la Merkel vi lascio la Merkel, mi tengo Putin!” (marzo 2017). E’ stato Salvini poi durante la pandemia a promuovere un vaccino (russo) in quel momento non ancora approvato dall’Ema. E’ stato Salvini poi, a marzo del 2022, a confermare “un partenariato paritario e confidenziale” tra il suo partito e quello di Putin.

E’ stato Salvini, poi, negli ultimi mesi, a dire, rispetto all’evoluzione del conflitto in Ucraina, le stesse cose diffuse dalla propaganda putiniana. L’invasione russa in Ucraina? Le responsabilità sono della Nato. Le sanzioni contro la Russia? E’ ora di toglierle. Le armi all’Ucraina? Non c’è ragione di mandarne ancora. Il problema, quando Salvini dice che ha fatto tutto questo gratis, non a pagamento, è che Salvini potrebbe aver ragione, perché il putinismo, per i sovranisti, altro non è stato che un pezzo importante dell’algoritmo dell’indignazione contro tutto ciò che i populisti hanno sempre detestato: l’Europa, la società aperta, la globalizzazione, le vecchie democrazie liberali. Il problema di Salvini, dunque, quando si parla del suo rapporto con la Russia non è legato allo scandalo di ciò che non si sa. Ma è legato, piuttosto, allo scandalo di ciò che si sa, di ciò che ha fatto, di ciò che considera innocuo, di ciò che ha rappresentato la sua adesione alla vecchia piattaforma putiniana e di ciò che significa per i suoi potenziali alleati di governo, come Giorgia Meloni, considerare tutto questo innocuo come una puntata di “Masha e Orso”. Indignarsi sì, preoccuparsi sì. 

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.