Ansa 

il prezzo del disinteresse

Dal disboscamento alle alluvioni. Quanto ci costa la mancata prevenzione

Antonio Pascale

Molti climatologi sostengono che eventi come quello delle Marche potrebbero in futuro diventare la norma. Eppure ci si concentra solo sul danno e non su quelle anomalie del sistema che lo producono, ignorando tutto ciò che avviene a monte e a valle. Arrivederci al prossimo disastro naturale

Sulle Marche, l'ultima notte, tecnicamente – ci dicono i meteorologi – si sono scontrate due masse d’aria, una calda e una fredda. Insomma sono disastrosamente caduti più di 400 mm di pioggia. Questo tipo di eventi potrebbe diventare la norma? Molti climatologi sostengono di sì, ragione di più per occuparci preventivamente del nostro territorio, sia a monte sia a valle. I due punti sono infatti collegati. A monte ci sono i boschi, che si sa proteggono il territorio. Non allo stesso modo, dipende dalle specie arboree, ma gli alberi sono comunque un buon argine. Ora, la superficie boschiva negli ultimi anni è aumentata. E’ una caratteristica dei paesi benestanti: più si è ricchi, meno energia si ricava dalla biomassa, più boschi ci sono. Prima si disboscava con molta allegria. Nel 1800, escluso il Regno Unito e una piccola parte dell’Europa, il 98 per cento dell’energia primaria era ricavata dalle biomasse, in particolare dalla legna e dal carbone vegetale. Un secolo dopo, nel 1900, vuoi l’uso crescente del carbone, vuoi la formidabile sequenza di scoperte avvenute negli ultimi vent’anni dell’800, solo metà dell’energia primaria era ottenuta con le biomasse. Nel 1950 queste contribuivano ancora per quasi il 30 per cento. 

 

Per restare in Italia, prendiamo il disboscamento sardo dell’800. Le statistiche sono spietate. La Sardegna entra nell’800 ricca di boschi, con oltre 500 mila ettari di superficie forestale, e ne esce, alla fine del secolo, ridotta a meno di 100 mila ettari. Quindi dell’aumento della superficie boschiva dovremmo essere contenti: un sinonimo di ricchezza, in tutti i sensi. Tuttavia, almeno in Italia la superficie boschiva è aumentata perché le zone coltivate (cuscinetto) tra paesi e foreste, sono venute meno. Significa che in molte parti d’Italia il bosco è boscaglia, spesso impenetrabile. Se vogliamo gioire del suddetto aumento è necessario occuparci della normale, indispensabile manutenzione dei nostri boschi. Che significa fare prevenzione a largo raggio. Riforestare con criterio, per esempio. Ma anche costruire una strada nel bosco è buona manutenzione, non certo uno scandalo. Altrimenti poi se il bosco brucia (e bruciando rompe gli argini a monte) i nostri pompieri come ci arrivano? Creare zone spartifuoco, cioè disboscare strisce di bosco e mantenerle pulite fa parte della prevenzione. Un buon rapporto con il monte protegge la valle. Poi a valle ci sono altri strumenti preventivi.

 

Alluvione significa disastro per l’agricoltura, campi spazzati via e con esso le colture, per non parlare delle opere infrastrutturali. In Italia dal 1970 esiste una struttura articolata di intervento pubblico a garanzia del danno da eventi climatici avversi. Ci si è molto concentrati sui sussidi per i premi delle polizze assicurative (oltre agli interventi ex post). In pratica lo stato paga una buona parte del premio assicurativo agli imprenditori agricoli. Stiamo sotto al cielo, dicono gli agricoltori, e l’intervento pubblico a questo serve, a proteggersi dalle turbolenze del cielo. Anche qui: legge ottima, ma necessita di manutenzione. Le proiezioni sui cambiamenti climatici in atto indicano nel meridione d’Italia una delle zone a maggior rischio erosione. Purtroppo, in queste regioni gli agricoltori non si assicurano. Questo fa sì che il mercato assicurativo si concentri al nord (l’80 per cento della produzione lorda vendibile assicurata si concentra in poche province nel nord del paese) creando così anomalie nel mercato assicurativo che rischiano di invalidare le politiche di prevenzione. Sono solo pochi aspetti della dimensione della prevenzione che si fonda anche su altri pilastri.

 

Eppure, qualcosa mi dice che vuoi il tema ostico e specifico, vuoi che ci concentriamo solo sul danno e non quelle anomalie del sistema che producono il danno, vuoi perché il danno si vede e gridando ci si può far belli, mentre la prevenzione è fatta di piccole cose invisibili, insomma qualcosa mi dice che purtroppo a nessuno interessa questo ambito e fino al prossimo disastro del monte e della valle pochi ne parleranno, se non sbadigliando.

Di più su questi argomenti: