Il caso
Gabrielli dice che non ci sono italiani nel dossier Usa sui finanziamenti russi. Intanto Orbán divide il centrodestra
Il sottosegretario alla Sicurezza spiega al Copasir che l'Italia non è menzionata nei documenti dell'intelligence americana. Intanto il voto al Parlamento Europeo su Budapest agita la coalizione trainata da FdI. Berlusconi avverte gli alleati: "Con l'Ue o noi fuori dal governo". Meloni però rilancia: "Ungheria è un sistema democratico"
Non ci sono partiti italiani nel dossier diffuso dagli Stati Uniti, in base al quale la Russia avrebbe finanziato con oltre 300 milioni di dollari i partiti di mezzo mondo, alimentando dubbi anche dalle nostre parti. Nulla di tutto questo, come ha chiarito questa mattina Franco Gabrielli. Interpellato dal Copasir, il sottosegretario con delega alla sicurezza della Repubblica, ha riferito che nei documenti prodotti dall'intelligence americana l'Italia non è menzionata.
Dichiarazioni che sembrano ridimensionare una questione divenuta centrale nella campagna elettorale, tanto da spingere per esempio Guido Crosetto, e non solo, a parlare di "Alto tradimento", mentre si moltiplicavano gli appelli alla trasparenza da parte di tutte le forze politiche. Subito i sospetti sono stati rivolti verso il centordestra e, in particolare, verso la Lega di Matteo Salvini, il cui accordo con Russia Unita - il partito di Putin - è cosa nota
Nel corso dell'audizione però, "sono stati forniti elementi, riguardanti le recenti dichiarazioni rese dall'amministrazione Usa in ordine alle attività di ingerenza russa nei processi democratici di diversi paesi, dai quali non sono emersi profili concernenti la sicurezza nazionale del nostro Paese", ha poi assicurato lo stesso presidente del Comitanto parlamentare per la sicurezza, Adolfo Urso di Fratelli d'Italia.
Ma mentre la questione dei rapporti con Putin sembra per il momento chiarita, restano sullo sfondo gli strascichi di una giornata, quella di ieri, che ha evidenziato ancora una volta le incongruenze della coalizione di centrodestra rispetto alla politica estera, con Lega e Fdi da una parte e Forza Italia dall'altra. Tanto che a sera Silvio Berlusconi ha voluto mandare un messaggio chiaro agli alleati. "La nostra presenza nel governo è garanzia assoluta che il governo sarà liberale, cristiano e soprattutto europeista e atlantista", è stato l'avvertimento del Cav. dopo che al Parlamento europeo, i partiti di Salvini e Meloni hanno deciso di sostenere la posizione di Orbán, votando contro una relazione che definisce l'Ungheria "regime ibrido di autocrazia elettorale". Troppo per Forza Italia e per Berlusconi, che si è così spinto fino all'ultimatum: "Se questi signori", ha detto alludendo a Salvini e Meloni, "dovessero partire in direzioni diverse noi non staremmo nel governo".
Dopo le divergenze sulle sanzioni alla Russia e sullo scostamento di bilancio insomma, questa volta è l'euroscetticismo dei sovranisti ad agitare la coalizione. Ma l'ammonimento mandato da Arcore, che permette pure, in chiave elettorale, a FI di rimarcare l'animo moderato e centrista, non sembra per il momento aver sortito gli effetti sperati. "Tutti i partiti ungheresi si sono indignati per questo documento, anche quelli che si oppongono a Orban. È una dittatura davvero?", ha rilanciato Meloni ai microfoni di Radio Anch'io questa mattina. "Orban ha vinto le elezioni, più volte anche con ampio margine, con tutto il resto dell'arco costituzionale schierato contro di lui, è un sistema democratico", ha sottolineato ancora la laeder di Fratelli d'Italia, lasciando intendere che la posizione espressa da Berlusconi non ha per nulla scalfito le sue convinzioni. Una sorta di antipasto di quel "la pacchia è finita", che Meloni annunciava da Piazza Duomo a Milano, qualche giorno fa. Il riferimento era appunto l'Unione europea, quella dell'asse franco-tedesca, che nelle intenzioni di Fratelli d'Italia deve essere scardinata, per guardare invece più a est.